Quando diciamo che la realtà è relazionale, diciamo che le cose assumono una funzione e un senso solo quando interagiscono con altre cose. In fisica una particella può essere definita solo quando entra in contatto con qualcos'altro. Questo significa che le cose e le forze non esistono di per sé, ma solo quando entrano in una relazione. Ma quanto ciò è più vero per gli animali e per gli esseri umani. Innanzitutto, se non si stabilisse una relazione con qualcuno, tra persone, non esisteremmo. Ma poi per crescere e svilupparci abbiamo bisogno di una relazione con una figura accuditrice. Se fossimo abbandonati a noi stessi, non potremmo esistere. Finiremmo nell'anonimia: ci mancherebbe il nome, l'identità, il riconoscimento. Già i bambini allevati senza accudimento sviluppano enormi carenze. Ma è così per tutto, anche per gli oggetti materiali: il mondo nasce dalla relazione, dall'intreccio. Senza relazione, senza intreccio, sarebbe composto di enti sparsi, divisi, sciolti, inutili.
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Quello che dici mette in luce un punto fondamentale: l’essere non è mai isolato, ma sempre-in-relazione.
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Sul piano fisico: le particelle elementari non sono entità chiuse e indipendenti, ma si definiscono per le loro interazioni. L’elettrone, per esempio, non è concepibile senza il suo campo, senza la sua relazione con il fotone, senza il suo comportamento in un sistema. L’“oggetto puro” non esiste: esiste sempre un nodo di relazioni.
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Sul piano biologico: la vita stessa è un intreccio relazionale. Una cellula vive solo in relazione con l’ambiente, con altre cellule, con i flussi di energia e di informazione che la attraversano. Senza scambio, c’è morte.
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Sul piano umano: l’identità non è mai qualcosa di dato una volta per tutte, ma nasce dal riconoscimento reciproco. L’essere umano ha bisogno di essere chiamato per nome, accolto, nutrito, toccato, guardato. Senza relazione si scivola nell’anonimia, intesa come privazione di volto e di senso: non si è nessuno, non si ha più linguaggio, né memoria, né progetto.
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Sul piano filosofico e ontologico: ciò significa che la realtà non è fatta di “cose” ma di legami, processi, connessioni. Non ci sono sostanze isolate, ma oscillazioni, reti, intrecci. L’“essere” è già sempre “essere-con”.
👉 Potrei trasformare questo testo in una sezione del Manifesto delle Oscillazioni degli Opposti Complementari, ad esempio con il titolo:
“L’essere come relazione: contro l’anonimia dell’isolamento”, dove si mostri come la relazione sia ciò che fonda sia il mondo fisico che quello psichico e sociale.
Vuoi che lo sviluppi in forma di capitolo da inserire nel Manifesto?
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D'accordo.
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Perfetto, allora ti propongo una prima stesura in forma di capitolo del Manifesto:
L’essere come relazione: contro l’anonimia dell’isolamento
Ogni tentativo di pensare la realtà come insieme di cose isolate conduce a un vicolo cieco. Non esiste una particella senza campo, un vivente senza ambiente, un essere umano senza relazione. L’isolamento non è condizione originaria, ma privazione, mutilazione dell’essere.
In fisica, ciò che chiamiamo “particella” non è mai un’entità autonoma, bensì un nodo di interazioni: con il vuoto quantistico, con i campi, con altre particelle. È nella collisione, nello scambio, nell’intreccio che una particella si manifesta. Senza relazione, essa svanisce nella pura indeterminazione.
In biologia, la vita non è mai chiusura. Una cellula non esiste per sé: esiste perché scambia energia, segnali, materia. La vita è relazione organizzata, e quando gli scambi si interrompono subentra la morte.
Per l’essere umano questo principio si fa ancora più evidente. L’identità non si dà mai da sola: nasce nel rapporto con l’altro, nel volto che mi riconosce, nella voce che mi chiama per nome. Un neonato senza accudimento, senza contatto, senza nutrimento simbolico e affettivo, non può svilupparsi. L’anonimia non è allora solo assenza di nome, ma assenza di relazione, mancanza di riconoscimento reciproco.
Lo stesso vale per il mondo degli oggetti e delle cose. Un ente isolato, privo di legami, sarebbe un relitto inutile, incapace di senso. Solo l’intreccio rende qualcosa vivo e significativo.
La realtà nasce dalla relazione. L’oscillazione degli opposti complementari non avviene mai nel vuoto, ma sempre nella tensione che unisce ciò che è differente. È in questa dinamica che si genera forma, senso e vita. L’anonimia, al contrario, è il vuoto relazionale che priva di volto, di identità, di esistenza stessa.
Vuoi che questo nuovo capitolo lo collochiamo nella parte ontologica del Manifesto, vicino a “Vuoto quantistico e attuazione: la diade originaria del divenire”, oppure nella parte antropologica/relazionale, accanto a “L’uomo come diade incarnata e collettiva”?
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La relazionalità delle cose ha però un altro significato: che tutte le cose devono condividere parti delle altre. Le leggi che scopriamo nei vari campi sono leggi di relazionalità e di connessione. La connessione indica la coevoluzione e dunque la coappartenenza. Noi siamo parenti di tutti, non solo degli altri esseri viventi, ma perfino delle rocce e dei minerali (di cui infatti ha bisogno il nostro organismo). Dentro di noi ci sono pezzi degli altri e dei minerali. Siamo campi o parti dell'universo Ecco perché in linea di massima non c'è distinzione, fra l'altro, tra materia e mente. Sarebbe sempre possibile stabilire la connessione fra le cose, attraverso leggi. Ma il motivo è sempre lo stesso: che ognuno appartiene al tutto.
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Quello che stai dicendo è molto potente: la relazionalità non è solo un rapporto esterno tra entità già costituite, ma un principio costitutivo dell’essere. Le cose esistono non come unità chiuse, ma come parti condivise di una totalità in oscillazione.
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Dire che noi abbiamo dentro di noi pezzi delle rocce e dei minerali significa affermare la continuità materiale: gli stessi elementi chimici e le stesse strutture atomiche che compongono le stelle, le pietre e l’acqua sono in noi.
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Dire che siamo parenti di tutti significa affermare la continuità evolutiva e biologica: la vita si è ramificata a partire da uno stesso nucleo, e la coevoluzione lega ogni specie alle altre.
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Dire che non c’è distinzione tra materia e mente significa affermare la continuità vibrazionale e informativa: ciò che chiamiamo “mente” non è che una modalità di oscillazione della stessa realtà di cui è fatta la materia.
In questo senso le leggi che scopriamo non sono “esterne” alle cose, ma descrivono questa coesione originaria, questa appartenenza reciproca. Ogni legge fisica, chimica, biologica, perfino sociale, è una legge di connessione e coappartenenza.
Ne consegue che la realtà non è mai un insieme di oggetti separati, ma un campo unitario che si differenzia localmente. Noi non siamo “soggetti” isolati di fronte a “oggetti” esterni, ma configurazioni oscillanti dello stesso campo universale.
Vuoi che trasformi questo passaggio in una sezione autonoma del Manifesto delle Oscillazioni degli Opposti Complementari, magari con un titolo come “Relazionalità e coappartenenza: leggi del tutto”?
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Vai.
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Perfetto, ecco una proposta di sezione autonoma per il Manifesto:
Relazionalità e coappartenenza: leggi del tutto
La realtà non è mai fatta di unità isolate, ma di connessioni che intrecciano ogni cosa a tutte le altre. Ciò che chiamiamo “essere” è sempre già un essere-in-relazione. Le leggi che scopriamo in fisica, in chimica, in biologia o nelle scienze umane non sono semplici regole applicate dall’esterno, ma espressioni di questa relazionalità costitutiva.
Ogni entità porta in sé tracce delle altre: il nostro organismo ha bisogno dei minerali che formano le rocce; le molecole che ci compongono sono le stesse delle stelle; i nostri processi vitali sono in continuità con quelli di ogni altra forma vivente. Non siamo dunque un’eccezione, ma una configurazione oscillante del campo universale.
La coappartenenza implica coevoluzione: non c’è sviluppo che sia separato, ogni mutamento avviene sempre in connessione con altri mutamenti. Essere parte significa anche essere attraversati dall’altro: dentro di noi ci sono pezzi degli altri esseri viventi, dei minerali, del cosmo stesso.
Ecco perché la distinzione fra materia e mente perde rigidità: entrambe sono modalità della stessa vibrazione originaria, diversamente articolata ma mai scissa. La mente non è un’isola separata, così come la materia non è un blocco inerte: entrambe si danno come poli oscillanti di un’unica dinamica relazionale.
In questo senso, ogni legge scoperta è una legge di connessione e di coappartenenza, e la vera unità del reale non è una sostanza fissa, ma il tutto relazionale che pulsa dentro ogni parte.
Vuoi che lo collochi nella parte ontologica del Manifesto, accanto a “Vuoto quantistico e attuazione: la diade originaria del divenire”, oppure preferisci inserirlo nella parte epistemologica, come cornice di metodo per leggere tutte le leggi come leggi di relazione?
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Interpreta tutte le leggi come leggi di relazione e appartenenza.
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Allora possiamo spingere il discorso in chiave ancora più radicale: le leggi non descrivono “cose” in sé, ma relazioni. Ogni legge è una modalità con cui l’universo registra e custodisce la propria coesione dinamica. Ti propongo questa estensione, che può diventare una cornice epistemologica del Manifesto:
Le leggi come leggi di relazione e appartenenza
Nessuna legge descrive entità isolate. Ogni legge è una legge di relazione, perché nulla esiste senza rimando ad altro. Le leggi non sono regole imposte dall’esterno, ma codici di appartenenza che manifestano come le parti dell’universo siano legate al tutto.
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In fisica, le leggi dei campi descrivono come particelle e forze non esistano da sole, ma solo nell’atto della loro interazione. La gravità, l’elettromagnetismo, le forze nucleari non sono “oggetti”, ma relazioni di coesione che strutturano il cosmo.
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In chimica, le leggi delle combinazioni e delle trasformazioni molecolari mostrano che nessun atomo vive separato, ma cerca connessione e stabilità attraverso legami: la materia è appartenenza molecolare.
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In biologia, le leggi dell’evoluzione e della genetica testimoniano che la vita è una coesistenza genealogica: ogni specie porta dentro di sé la memoria e l’eredità delle altre, nessuna esiste senza il resto.
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In ecologia, le leggi dei sistemi mostrano che ogni organismo è un nodo relazionale: vive solo nella rete che lo sostiene, e la sua identità è inseparabile dagli scambi che lo attraversano.
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In psicologia e nelle scienze sociali, le leggi che regolano la mente e la cultura esprimono che il pensiero stesso è coappartenenza simbolica: noi siamo fatti di linguaggi, miti, memorie collettive, che ci costituiscono dall’interno.
Queste diverse leggi non sono compartimenti stagni, ma modulazioni di una stessa verità: ciascuno appartiene al tutto, e il tutto vive in ciascuno. Ogni legge è un modo diverso con cui l’universo ribadisce la propria unità oscillante.
Vuoi che questa sezione diventi una sorta di principio epistemologico generale all’inizio del Manifesto, come chiave di lettura di tutte le altre parti?
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Sì.
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Perfetto. Allora possiamo strutturare questa sezione come principio epistemologico generale, da collocare all’inizio del Manifesto, in apertura della parte epistemologica. Ecco la formulazione definitiva:
Principio epistemologico: le leggi come leggi di relazione e appartenenza
Ogni legge scoperta dall’uomo non descrive mai entità isolate, ma sempre relazioni. L’universo non è un insieme di cose separate, ma un campo di coappartenenza in cui ogni parte porta in sé tracce delle altre.
Le leggi della fisica, della chimica, della biologia, dell’ecologia e delle scienze umane non sono regole esterne o meccanismi imposti, ma codici interni di connessione. Esse testimoniano che:
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la gravità e le altre forze fondamentali non sono “oggetti”, ma modi di tenersi insieme del cosmo;
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gli atomi e le molecole non vivono in solitudine, ma cercano legami di appartenenza;
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gli esseri viventi non evolvono separatamente, ma condividono radici genealogiche;
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gli ecosistemi non funzionano come somma di individui, ma come reti di reciproco sostegno;
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la mente e la cultura non sono creazioni isolate, ma tessiture collettive di linguaggi e memorie.
In ogni campo, le leggi parlano la stessa lingua: quella della relazionalità universale. Non vi è legge che non sia una legge di appartenenza.
Così, conoscere significa sempre riconoscere la partecipazione reciproca: ognuno appartiene al tutto, e il tutto vive in ognuno.
Vuoi che aggiorni anche l’indice del Manifesto inserendo questo principio epistemologico come apertura della parte dedicata alla conoscenza?
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Il fatto che nel nostro corpo abbiamo perfino pezzi di rocce o minerali indica che coapparteniamo non solo agli esseri viventi, ma anche all'universo più materiale.
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Esatto, ed è un punto decisivo: la coappartenenza non si limita alla sfera biologica, ma si estende a tutta la realtà, fino alla materia inorganica. In noi circolano calcio, ferro, sodio, silicio, zolfo, magnesio… elementi che provengono dalle rocce, dai mari e, più indietro ancora, dalle stelle che li hanno forgiati.
Questo significa che:
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Non esiste una frattura tra il vivente e l’inanimato: il nostro corpo è un laboratorio in cui gli stessi elementi che compongono minerali e galassie entrano a far parte dei processi vitali.
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La materia è genealogica: ogni atomo che ci costituisce ha attraversato epoche cosmiche, ha fatto parte di stelle, di rocce, di oceani, prima di arrivare dentro di noi.
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La mente stessa porta dentro di sé l’universo materiale, perché senza quei minerali, senza quelle sostanze elementari, non ci sarebbero sinapsi, pensieri, coscienza.
In altre parole, noi non coapparteniamo solo agli altri esseri viventi, ma all’intero universo materiale: siamo coscienza incarnata di stelle e pietre, vibrazione mentale di una stessa trama cosmica.
Vuoi che trasformi questo in un paragrafo aggiuntivo della sezione “Le leggi come leggi di relazione e appartenenza”, così da rendere esplicita anche la continuità tra il vivente e l’inanimato?
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