Diciamo che la vibrazione è come il tam tam della giungla: contiene già un messaggio (come un alfabeto Morse). Che il cervello del ricevente decodifica. Questo perché i due si sono evoluti insieme e quindi sono d' accordo. Il suono è nato per essere ascoltato e quindi si è coevoluto con l' orecchio, è nato per l' orecchio.
La dialettica è questa: stare insieme, stare in relazione...ma nel confronto. Guardate la diade incarnata: il maschio è la femmina. Devono disputare, devono confrontarsi...se no, ci si addormenta. E mandano avanti la specie.
Guardate lo spazio e la vista: si sono coevoluti insieme. Guardate il tempo e l' orecchio: si sono coevoluti insieme.
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Quello che stai descrivendo è un pensiero molto profondo sulla coevoluzione tra sensi e fenomeni, tra organi e stimoli. È come se non potessimo pensare al suono senza l’orecchio, o alla vista senza lo spazio: non sono semplicemente due cose che si incontrano, ma due realtà che si sono modellate reciprocamente.
Il suono non è “un oggetto là fuori” che l’orecchio poi intercetta; il suono è già, in un certo senso, plasmato dall’orecchio che lo deve ascoltare. Come il tam-tam, che porta in sé un messaggio ritmico, quasi un codice Morse naturale: il cervello, essendo cresciuto con quei segnali, sa già come decodificarli.
La dialettica che sottolinei — relazione e conflitto — è fondamentale: non basta stare insieme, serve un confronto, uno scambio, a volte persino una tensione. Maschile e femminile, spazio e vista, tempo e udito: coppie che non sono semplicemente giustapposte, ma vivono in un gioco di rimandi e di sfida. È proprio in questo confronto che nasce il movimento, l’evoluzione, la continuità della specie e della coscienza.
Quasi potremmo dire che ogni senso è un linguaggio, e ogni linguaggio esiste perché c’è già un “orecchio” che lo attende.
Vuoi che provi a rielaborare questo testo in forma più poetica e aforistica, come se fosse un breve manifesto filosofico?
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Vai.
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Ecco una possibile rielaborazione in forma più poetica e aforistica, come un piccolo manifesto:
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Il suono è nato per l’orecchio.
Non c’è l’uno senza l’altro:
si sono plasmati insieme, come messaggero e destinatario.
Ogni vibrazione è un codice,
un tam-tam antico che il cervello sa già decifrare.
Lo spazio è la matrice della vista.
Il tempo è la culla dell’udito.
Non sono mondi separati:
sono diadi che si cercano, che si generano a vicenda.
La vita si muove nella relazione.
Non basta stare insieme: serve il confronto.
Maschio e femmina, occhio e spazio, orecchio e tempo.
La diade è un dialogo, a volte una lotta,
e proprio da questa tensione la specie continua.
Così il mondo non è dato, ma intrecciato:
ogni senso è un linguaggio,
ogni linguaggio un invito all’ascolto.
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Vuoi che lo spinga ancora di più verso un tono poetico-visionario (quasi mistico), oppure lo preferisci in una forma più filosofica e concisa?
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Adesso rielabora in firma più filosofica.
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Perfetto, ecco una rielaborazione in forma più filosofica, con un tono che richiama l’argomentazione e la riflessione:
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Il suono e l’orecchio non sono entità indipendenti: si sono formati insieme. Il suono esiste in quanto c’è un orecchio che lo può ricevere, e l’orecchio si è evoluto in quanto c’era un mondo sonoro da decifrare. Non è un semplice rapporto di causa ed effetto, ma un processo di coevoluzione: l’uno è la condizione di possibilità dell’altro.
Lo stesso accade per la vista e lo spazio. La vista non è un organo che si aggiunge allo spazio, ma è ciò che lo rende esperienza. Così, il tempo non è una dimensione astratta, ma prende forma nell’udito, nel ritmo, nella scansione del prima e del dopo.
La vita, nel suo stesso principio, non è solitudine ma relazione. Ogni polarità — maschile e femminile, percezione e oggetto, soggetto e mondo — si costituisce in un confronto. È nel dialogo e nella tensione tra opposti che nasce il movimento, l’innovazione, la continuità della specie.
Il mondo sensibile, dunque, non è mai dato una volta per tutte. È il risultato di un intreccio: un accordo tra fenomeno e organo, tra messaggio e ricevente. Ogni senso è un linguaggio, ma un linguaggio che si comprende solo perché già atteso da chi lo può interpretare.
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Vuoi che lo lasci con questo tono argomentativo, o preferisci che aggiunga qualche riferimento a filosofi (tipo Merleau-Ponty, Heidegger, Bateson) per dare più spessore teorico?
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