Se ci domandiamo come la coscienza possa coesistere con la materia, teniamo presente che proprio noi siamo pezzi di materia che sono coscienti. Quindi non dobbiamo cercare la risposta lontano, ma esaminando noi stessi. Ciò non è dovuto a un nostro sforzo – ce lo siamo trovati. Perciò siamo un pezzo di materia cosciente che si domanda come mai è cosciente.
Ma che cos’è la coscienza se non il riconoscimento di essere,
proprio qui e proprio ora?
Ora, questo riconoscimento implica un soggetto che riconosce
se stesso, che dice: “Io sono, io penso, io sento…” Dunque c’è in io che dice: “Questo
qui sono io”. Ma questo io riconosciuto non può coincidere esattamente con il
soggetto conoscente. Ci assomiglierà, ma non potrà essere ciò che conosce: sarà
una copia, una duplicazione, che, per sua natura, sarà diversa dall’originale.
L’originale è ciò che conosce, non ciò che è conosciuto.
Il soggetto conosciuto sarà comunque un facsimile, ma anche
molto simile. In altre parole, sarà legato strettamente al soggetto conoscente,
pur non identificandosi. Sarà come una litografia: la copia sarà diversa, ma
sarà comunque una rappresentazione molto stretta dell’originale.
In sintesi, l’originale e la copia sono in un rapporto molto
stretto, ma non sono la stessa cosa. Vi è comunque una differenza, una
scissione, una distinzione.
E così siamo noi: siamo copie e originali nello stesso tempo.
Quando agiamo, esprimiamo la nostra natura autentica, ma quando riflettiamo
troviamo la copia. Come faremo allora?
Non faremo, perché noi siamo esattamente questo rapporto,
questa interrelazione, questa differenziazione, questa scissione dinamica. L’originale
in realtà non è più rintracciabile, e, anzi, non c’è mai stato. È l’operazione
di coscientizzazione che ci crea questa falsa sensazione. È come un falso
ricordo.
Il fatto è che la coscienza è proprio uno sdoppiamento del
soggetto, che convive con un suo gemello. Molto simile, ma non identico.
Ma perché avviene questo sdoppiamento, che non vediamo (nella
stessa misura) negli altri animali?
Lo sdoppiamento avviene comunque dallo schema di nascita di
qualunque cosa – che è diadico. Che cosa significa?
Secondo gli autori di un recente libro The Sentient Cell (La cellula senziente), la coscienza non sarebbe un prodotto
tardivo dell’evoluzione, appannaggio solo degli organismi più complessi, bensì
una caratteristica fondamentale della vita stessa, presente fin nei suoi costituenti
di base: le cellule e persino alcune macromolecole. Quella della “coscienza
cellulare” è una tesi dirompente, ma non nuova, che rivoluziona la stessa
concezione del rapporto tra mente e materia.
Al centro del libro di
Arthur Reber, Frantisek Baluska e William Miller si spiega la base cellulare
della coscienza. “Secondo questa ipotesi, la coscienza emergerebbe a livello
cellulare dalla coordinazione di strutture e processi interni. In particolare
dalle interazioni tra le membrane plasmatiche eccitabili e i polimeri del
citoscheletro. In altre parole, ogni cellula sarebbe dotata di una forma di
“proto-coscienza”, una capacità intrinseca di percepire, valutare e rispondere
agli stimoli ambientali.
Ma la teoria si spinge ancora oltre. Gli autori propongono che la comparsa delle prime cellule viventi, racchiuse da una versione ancestrale della membrana plasmatica,
coincida con l’origine stessa della vita e della coscienza. In questa prospettiva, la coscienza non sarebbe un’aggiunta successiva, bensì un aspetto costitutivo della vita fin dal suo inizio, sorto all’emergere delle prime forme
cellulari oltre quattro miliardi di anni fa.” [da un articolo di
Gianluca Riccio su “Futuro Prossimo”]
Questa è anche la mia
convinzione e un’idea molto antica.
“Ma la teoria si spinge
ancora oltre. Gli autori propongono che la comparsa delle prime cellule
viventi, racchiuse da una versione ancestrale della membrana plasmatica,
coincida con l’origine stessa della vita e della coscienza. In questa
prospettiva, la coscienza non sarebbe un’aggiunta successiva, bensì un aspetto
costitutivo della vita fin dal suo inizio, sorto all’emergere delle prime forme
cellulari oltre quattro miliardi di anni fa.
Questa idea ha implicazioni profonde per la nostra comprensione dell’evoluzione biologica. Se
la coscienza è una proprietà intrinseca delle cellule, allora ha probabilmente giocato un ruolo chiave nel plasmare il corso della vita sulla Terra.
Gli autori (uno psicologo, un botanico e un biologo) introducono il concetto di “creatività evolutiva”. Secondo questa teoria, nessun tratto o funzione che abbia avuto un
valore adattativo si perde mai completamente, ma diventa la base per l’emergere di nuove caratteristiche.
In questa luce, la coscienza cellulare non sarebbe un semplice epifenomeno, ma una forza attiva
nell’evoluzione, che guida le cellule verso un problem-solving sempre più efficace e creativo in risposta alle
sfide ambientali. La vita stessa, suggeriscono gli autori, è una forma di cognizione incarnata, in cui la coscienza “galvanizza” l’evoluzione attraverso la ricerca di soluzioni adattative.” [idem]
“Più in generale, il libro
teorizza che praticamente ogni componente intracellulare (dalla membrana
plasmatica ai microtubuli del citoscheletro) possa essere dotata di un ‘nano-cervello’,
di una ‘mente’ rudimentale. Una visione radicale, che se confermata
implicherebbe una diffusione della coscienza ben più capillare di quanto
immaginiamo, fin nei recessi più profondi della materia vivente.”[idem]
Come si vede, materia e
coscienza non sarebbero mai disgiunte, ma unite in una diade originale. E la
coscienza sarebbe a sua volta una diade soggetto/oggetto.
Ricordo che una diade è una
coppia di forze, contrapposte, ma unite, che sono visibili dappertutto e che
danno già in partenza una soluzione del problema del rapporto dinamico fra quantità
di materia e quantità di coscienza.
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