Il confronto è
fondamentale, l’incontro/scontro è essenziale, perché è ciò che genera energia.
Se non ci fosse lo scontro, la rivalità, il contrasto, tutto sarebbe immobile,
senza movimento, senza vita. La vita – come aveva ben visto anche Eraclito – si
basa sul contrasto. D’altronde, se non ci fosse il contrasto fra tutte le cose
e gli esseri viventi, se non ci fossero la rivalità, l’odio, il confronto, la
lotta, come potrebbe crearsi l’armonia.
Perché, sì, anche la coppia
contrasto/armonia è una diade fondamentale.
Si dirà che stiamo parlando
di concetti astratti. Ma io vi indico una serie di diadi che sono reali (per
quanto siano reali le cose): il giorno e la notte, il maschile e il femminile,
la vita e la morte, l’inspirazione e l’espirazione… Potete immaginare uno dei
due poli senza l’altro? Potete immaginare che si tratti di semplici concetti e
non di cose reali e sperimentabili?
Dunque, non stiamo parlando
di semplici concetti, ma di concetti che esprimono esperienze. E notate che l’interazione
è sempre duale, non ternaria o settenaria. E infatti anche i nostri
organismi sono duali: due occhi, due orecchie, due braccia, due gambe, due
polmoni, due reni, due emisferi cerebrali… (Ho fatto indagini e non esiste un
essere con tre gambe!)
Del resto, il ritmo
inspirazione/espirazione, che è fisico, deve essere almeno duale, deve
coinvolgere almeno due elementi. Non c’è ballo senza almeno due ballerini.
Certo, ci sono coppie
diadiche che potrebbero essere solo concettuali (bene/male, Dio/diavolo,
paradiso/inferno…), ma in tal caso non ci sono esperienze concrete, reali.
Una diade, per essere
reale, deve essere sperimentata in uno dei due poli concretamente. Se uno
esiste, anche l’altro esiste. È chiaro che certi dualismi, come bene/male, bello/brutto, utile/inutile,
difficile/facile, ecc., non riguardano la realtà oggettiva, ma solo i nostri
giudizi soggettivi. Altri riguardano i sentimenti e le emozioni; amore/odio,
felice/infelice, ottimista/pessimista, allegro/triste, motivato/demotivato,
euforico/depresso, fiducioso/disperato, ecc. Altri riguardano il tempo
(prima/dopo, passato/futuro,, ecc.) e lo spazio (su/giù, sopra/sotto,
statico/mobile, alto/basso, ecc.). Altri riguardano i movimenti (veloce/lento,
scontro/incontro, accogliere/respingere, andare/venire, salire/scendere… Altri
hanno un significato sociale: ricco/povero, nobile/ignobile, Ma tanti altri
sono polivalenti: magari partono da una realtà, ma poi rivestono le più diverse
interpretazioni. Pensiamo per esempio ai vari significati che possono assumere
diadi come passivo/attivo, positivo/negativo, destra/sinistra, duro/tenero,
aperto/chiuso, caldo/freddo, armonia/ contrasto… fino ai concetti più astratti
come essere/non essere, tutto/niente, leggero/pesante, concordia/discordia, luce/buio,
ecc.
Inutile cercare una
classificazione rigorosa. Anche l’idea che alcuni siano concreti e altri siano
pure astrazioni non è sostenibile. Perché il nostro linguaggio si è originato
da cose o fatti reali, per poi assumere significati polivalenti e astratti.
Comunque, la regola
fondamentale è che, se almeno una polarità sia esperibile nella realtà, l’altra
sarà reale.
Non esiste un fenomeno o un
processo isolato, perché la nostra conoscenza è sempre il frutto di
un’interazione fra due o più cose, se non altro fra noi come soggetto e l’altro
come oggetto – perfino dentro noi stessi. Se questa interazione o relazione non
c’è, è come se il fenomeno non esistesse.
Ne consegue che la nostra
conoscenza consiste nel cercare, studiare, scoprire e determinare nuove
relazioni. Pensiamo alla chimica che può sia studiare le relazioni fra certi
fenomeni già dati sia crearne di nuovi. O anche ad altre scienze. L’uomo segue
Dio: può creare.
Questo è importante.
Conoscere, in certi casi, è creare qualcosa che non c’è ancora, ma può esserci;
passare dalla potenza all’atto. Prendiamo la plastica nel campo della chimica.
Ma consideriamo la nascita stessa dei concetti, che può seguire la realtà, ma
può anche determinare una nuova realtà. La donna e l’uomo sono fatti per
generare cose nuove. Come il loro cervello, plastico.
È difficile dire se una
cosa esiste in se stessa - e noi l’abbiamo semplicemente scoperta come un tesoro
sepolto - o se è una nostra creazione. Se non arriviamo a una conoscenza,
attraverso i sensi e la mente, per noi è come se non esistesse. Possiamo
teorizzare qualsiasi cosa (per esempio, uno spazio a 7 0 a 11 dimensioni), ma,
finché non c’è una prova esperibile, rimane un’ipotesi.
Al limite, potremmo dire
che la conoscenza di una cosa definisce e determina (collassa) la cosa. Ma
quale prova avremmo del contrario? Se non la conoscenza stessa?
Dovremmo prima conoscere la
cosa che non conosciamo!
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