Nella storia delle religioni, piena di
inviti alla fede e al fanatismo, c’è un’unica eccezione: il discorso del Buddha
ai Kalama, gli abitanti di una cittadina del regno di Kosala, che gli avevano
domandato a chi o a che cosa credere nella confusione dei messaggi e delle
opinioni:
“Non lasciatevi guidare dai racconti
orali, dalla tradizione, dal sentito dire, dall’autorità dei libri religiosi,
dalla sola logica, dalle deduzioni, dall’apparente competenza di chi vi parla,
dalla verosimiglianza, dal piacere per la speculazione, non lasciatevi guidare
nemmeno dal pensiero: ‘Questo è il mio maestro’… Ma se constatate di persona
che certe cose vi fanno male e conducono alla sofferenza, allora rinunciatevi.
E se constatate di persona, con occhi bene aperti, che certe cose vi fanno
bene, allora sì accettatele e mettetele in pratica.”
Insomma, dobbiamo sperimentare e riflettere
da soli, lasciando perdere i religiosi, i filosofi e i presunti o sedicenti maestri.
Il che significa che dobbiamo lasciar perdere anche le verità codificate del
buddhismo.
Ciò che conta è verificare di persona
se una cosa ci fa sentire tranquilli-sereni o agitati-angosciati. La “verità”
(che non può essere affidata alle parole e neppure ai pensieri) deve far bene
subito, deve darci la tranquillità. È
l’effetto che conta.
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