Purtroppo non possiamo fare a meno
della mente, nemmeno quando cerchiamo di superarla. Lo scopo della meditazione
sarebbe quello di trascendere la mente convenzionale, il linguaggio, i concetti
e le sensazioni dualistiche. Ma è chiaro che il processo è guidato fino a un
certo punto dalla mente stessa, una mente che non vuole affatto, però, farsi
mettere da parte. C'è sempre una resistenza e una paura.
E' come fare un tuffo da un trampolino: ci
avviciniamo alla punta guardinghi e paurosi - ma alla fine che cosa ci fa
decidere di saltare? Non è più la mente prudente e tremebonda; è un lasciarsi
andare, un lasciar andare, un affidarsi al tutto sperando in bene, una specie
di coraggio o di incoscienza. Per questo si parla di non-mente.
Ciò che ci fa saltare è già al di là
della mente, è il "non" della mente.
In pratica, l’unico modo di trascendere
la mente discorsiva, basata su pensieri contrapposti e quindi su un linguaggio
duale, è l’attenzione, la vigilanza. Quando siamo veramente attenti e
interessati a qualcosa, in realtà non abbiamo tempo per pensare; siamo come un
animale che avanza circospetto nella giungla, attento a percepire ogni segnale.
Questo dà un’idea di che cosa sia la
presenza mentale: essere attenti in massimo grado tenendo conto dell’esterno e
di noi che vi siamo dentro. Una specie di visione sintetica che non ha tempo da
perdere in pensieri.
È un po’ come fare l’amore: siete
concentrati al massimo senza più riuscire a distinguere fra voi e l’altro. Meditare
è questa unificazione improvvisa.
Non si può dire che la mente non
funzioni, ma non è più divisa. Si trova unificata in un unico punto. Oltre
questo punto essa non è più la mente convenzionale.
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