La meditazione, la consapevolezza, si
basa sull’osservare; le religioni si basano sul giudicare. Nella meditazione
non c’è posto per i miti e le favole; le religioni ne sono piene.
Non possiamo pensare l’incondizionato,
mentre possiamo pensare tutte le condizioni di questo mondo. Quando Dante
immagina inferno, purgatorio e paradiso, non può che usare immagini e idee
condizionate. Ma questo aldilà dantesco non è l’incondizionato; è pur sempre
terreno.
Che cosa significa “ciò che non è nato
e non è morto”, “ciò che è al di là tanto dell’essere quanto del nulla”, “ciò
che sta al di là del bene e del male”, ecc.? In realtà sono espressioni che
vogliono negare il nostro dualismo, la nostra velleità di pensare metafisicamente.
Che cosa rimane allora?
Rimane il qui e ora, la nostra presenza:
sono consapevole, sono attento, sono vigile… Null’altro c’è di reale; tutto il
resto è pensiero, immaginazione, esperienza duale. La felicità e l’infelicità
sono i movimenti di un’altalena che non si ferma mai nel suo punto di
equilibrio. Ma la mia consapevolezza, in effetti, è questo centro, già oltre
gli estremi, già trascendenza.
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