Quando proviamo paura è come se la
coscienza di noi stessi, si acuisse; è come se l’io si contraesse su di sé per
innalzare barriere. Così ci chiudiamo su noi tessi, ci consideriamo separati da
tutto il resto e guardiamo gli altri come nemici.
Quando invece siamo rilassati e
fiduciosi, rimane una consapevolezza che non deve difendersi, che non è
ossessionata di sé, che rimane aperta e accogliente.
Questa consapevolezza non è più il sé
abituale, non è più arroccata su di sé, ma
è non-sé. La cosa paradossale è che il non-sé non è un nulla o la morte, ma
addirittura uno stato superiore a quello del sé. Non è perdita né
restringimento, ma dilatazione e gioia.
Ecco perché non bisogna aver paura del
nulla, della morte e del non-essere-più-un-io. È la nostra mente che, con i
suoi erronei convincimenti e le sue fosche previsioni, ci crea simili paure.
Il “luogo” dell’assenza di noi stessi è
un luogo di trascendenza.
È stata la psicoanalisi a scoprire che
gran parte della vita psichica sfugge alla coscienza razionale. Ma la
meditazione aggiunge che l’intera vita psichica, conscia e inconscia, è
incapsulata in una consapevolezza più vasta che è meno individuale, più
universale. Questa è la parte non-sé, che non può essere né pensata né
oggettivata. Ma è sempre presente e attiva.
Quando si è semplicemente consapevoli,
quando si diventa testimoni del mondo e di se stessi, si è già nel non-sé,
anche se non ne siamo coscienti a livello intellettuale.
“La consapevolezza è la via del senza
morte” dice il Dhammapada.
Quando sei nella consapevolezza, sei al
centro di te stesso e dell’universo. La consapevolezza è lo stato del
risveglio.
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