Secondo
le nostre abitudini, meditare significa riflettere su ricordi, emozioni,
affetti, amori, odi, successi, fallimenti, giudizi, opinioni, il senso della
nostra vita, ecc. Si tratta sempre di una meditazione personale, basata sul pensiero.
Ma
ora vogliamo uscire dal pensiero comune e dalla dimensione individuale per
ritrovare lo stato naturale dell’essere, qualcosa che non sia più una
costruzione mentale.
È
proprio la consapevolezza che ci introduce all’incondizionato, ciò che sta tutto
intorno all’io e alle sua facoltà. Da lì possiamo osservare i nostri impulsi,
il nostro funzionamento e il gioco del divenire.
Tutti siamo condizionati, e la
meditazione ci insegna a diventare più attenti alle influenze del mondo
interiore e del mondo esteriore. Diventiamo sempre più consapevoli di come ci
muoviamo in modo reattivo e ripetitivo, secondo schemi prestabiliti. A questo
punto ci viene l’aspirazione a diventare più padroni di noi stessi.
Il paradosso è questo: più ci rendiamo
impersonali e ci osserviamo, più diventiamo autentici.
L’io è uno stato inferiore temporaneo.
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