Nella coscienza abituale, noi crediamo
di essere qualcuno, di avere una certa identità. Ma, quando andiamo a
definirla, restiamo insoddisfatti; è come se mancasse sempre qualcosa. Questa
incompletezza viene da una consapevolezza diversa, da un testimone che sta
oltre l’io che conosciamo.
In effetti, se ci mettiamo in
meditazione, ossia se ci mettiamo a osservare noi stessi e non ci perdiamo nei
particolari, approdiamo ad una presenza mentale che è al di là del solito noto,
dell’io e del te, del mio e del tuo, del piacevole e dello spiacevole. È uno
specchio che non si identifica con i mutevoli stati d’animo – li riflette e basta.
Gli stati d’animo vanno e vengono e
passano da un estremo all’altro, e così i nostri giudizi su “chi” siamo.
Mentre di solito noi ci identifichiamo con
questo o quello stato mentale, con la meditazione impariamo a identificarci con
questa consapevolezza primaria o ultima, che è al di là delle contingenze umane
ed ha già un piede nella trascendenza.
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