La musica come ascesi, la vita come ricerca: Franco Battiato non è stato solo un musicista, molti l’hanno definito Maestro, e non solo per la conoscenza profonda della musica. A 80 anni dalla nascita, un libro ne raccoglie «pensieri, parole, opere e omissioni»: lo abbiamo letto, cercando – nel migliore dei modi – di fare un giusto compendio del Battiato-pensiero
di Francesca Favotto
27 luglio 2025
Franco Battiato
«Vivere non è difficile potendo poi rinascere. Cambierei molte cose, un po' di leggerezza e di stupidità». Così cantava il Maestro Franco Battiato quarant’anni fa nel suo brano L’animale e a giudicare da come ancora oggi resti uno dei cantautori più amati di sempre - per il quale la definizione di cantautore va stretta -, possiamo dire a ragion veduta che Battiato non solo rinasce ogni volta che una sua canzone si diffonde nell’aria, ma che in realtà non se n’è mai andato davvero.
Morto nel 2021, a 76 anni, quest’anno ricorrono gli 80 anni dalla nascita: per questo, Mondadori e la Fondazione Franco Battiato hanno voluto celebrare l’eredità filosofica e morale di un pensatore prestato alla musica pop con il libro All’essenza, curato da Giordano Casiraghi, che raccoglie e riorganizza centinaia di dichiarazioni pubbliche di Battiato – tratte da interviste, conferenze stampa, programmi televisivi, articoli –, restituendo una sorta di autobiografia postuma. Ne emerge il ritratto vivido di un uomo che ha attraversato la cultura italiana con la stessa delicatezza con cui attraversava il silenzio.
«Si tratta di conoscersi bene interiormente per poter poi uscire e affrontare la gente, il mondo, per portare anche dei cambiamenti. Non si tratta di staticità, di autocontemplazione, ma di dinamismo, vitale e culturale»: non una semplice frase, ma una dichiarazione di intenti, che sintetizza l’intero percorso di Battiato: un cammino di trasformazione personale, ma mai separato dalla realtà, anzi sempre rivolto a migliora
Il curatore Casiraghi – che ha seguito l’artista per decenni – ha raccolto le sue parole su ogni aspetto dell’esistenza: meditazione, morte, reincarnazione, amore, musica, politica, guerra, cultura, società. Parole che non restano teoria, ma testimonianze vive di un’esistenza interamente spesa nella ricerca.
All’essenza è molto più di una raccolta di aforismi: è una mappa di coscienza, una guida per chi cerca. Grazia Cristina Battiato, nipote e presidente della Fondazione, ha dichiarato: «Mi manca ogni cosa di lui, e il solo fatto di avere un elaborato che aprendolo mi faccia sentire la sua voce, il suo pensiero, mi fa stare bene. Spero che la stessa cosa avvenga per il pubblico che l’ha seguito e apprezzato». E in effetti così è.
Il libro è il primo documento ufficiale della Fondazione Franco Battiato ETS, costruito su un archivio tracciato, sistematizzato e documentato. Una vera autobiografia spirituale che continua a vibrare e che ha il pregio di farci conoscere più da vicino Franco Battiato, un artista totale, ma soprattutto un essere umano in cammino. La sua voce ci accompagna ancora. Il suo silenzio, ancora di più.
Abbiamo letto All’essenza e ci siamo concentrati sulla parte iniziale della raccolta, quella dedicata alla filosofia che ha permeato tutta l’esistenza del Maestro: Franco Battiato, infatti, è stato molto più di un musicista. È stato un cercatore dello spirito, un alchimista dell’anima, un viaggiatore silenzioso tra le pieghe del visibile e dell’invisibile. La sua voce, la sua musica e i suoi pensieri tutt’oggi formano un percorso di risveglio che continua a parlare a chi cerca qualcosa di più profondo del rumore del mondo. Ne abbiamo fatto un riassunto: ecco i punti principali.
Per Battiato, ogni rivoluzione autentica è interiore. L’evoluzione spirituale non si eredita, non si compra, e non può essere delegata. Si costruisce a partire da una radicale onestà con se stessi, in un confronto continuo con le proprie debolezze e illusioni. «L’essere poveri – dice - è un momento determinante: fa emergere l’essenza rispetto alla personalità esteriore».
Non c’è traccia in lui di vittimismo o di rivendicazione. Chi incolpa sempre gli altri, afferma, ha semplicemente paura di guardarsi dentro. L’ego, con le sue pretese e le sue finzioni, «fa davvero pena». Solo attraversando questa pena si può accedere a una vita consapevole, disidentificata dalle emozioni e pronta ad aprirsi al mistero.
La meditazione: arte del silenzio e dell’ascolto
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La meditazione è stata per Battiato una pratica quotidiana e fondamentale, un punto fermo nella sua evoluzione personale e spirituale. Iniziata negli anni Settanta con la meditazione trascendentale, col tempo ha sviluppato un metodo personale, che prevedeva sessioni di 40-50 minuti al giorno, spesso svolte nella sua casa a Milo, immerso nella natura. In ambienti più caotici, come una stanza d’albergo, gli bastava aprire la finestra e guardare il cielo per ritrovare la centratura. Col tempo era riuscito a «ricollegarsi» in una frazione di secondo al lavoro interiore già fatto, passando attraverso il corpo, centimetro dopo centimetro, fino a sciogliere le tensioni. Evitava ogni stimolo emotivo o eccessivamente associativo: la mente, diceva, è come un macinacaffè. L’obiettivo era liberarsi dai pensieri parassiti e raggiungere uno stato di non-pensiero, condizione necessaria per accedere al «vero silenzio» e, da lì, alla meditazione autentica. Era convinto che la grazia e la calma interiore si conquistano con la pratica, e non sono mai un fatto intellettuale. Quando meditava, lo faceva anche «per tutti gli esseri senzienti», trasformando ogni sessione in un gesto di compassione universale.
Battiato ha sempre cercato nella musica qualcosa di più di un’estetica. La sua era una musica rituale, concepita per elevare, non per intrattenere. Le armonie, come nella cosmologia pitagorica, riflettono leggi universali. «Le stesse regole che regolano l’armonia musicale regolano il cosmo», affermava.
Per questo, rifiutava ogni forma di improvvisazione emotiva. La musica classica occidentale, diceva, per quanto sublime, «non coincide con la mistica che ricerchiamo». È una differenza sottile ma fondamentale: la musica del sacro ha bisogno di fissità, di rarefazione, di atmosfere delicatissime.
La sua fede era profonda ma libera. Si definiva cristiano, induista, buddista: «ho imparato cose dai tibetani da ringraziarli per l’eternità». Non cercava proseliti, ma testimoni. L’unica militanza per lui possibile era quella della consapevolezza, un itinerario personale che non può essere imposto a nessuno.
La preghiera, come la meditazione, era per lui un metodo, non un rito. Pregava anche per gli altri, soprattutto per i defunti, ma «bisogna sapere quello che si fa: non è una cosa da catechismo». La voce interiore – quella che non sbaglia mai – è la vera guida.
La morte come compagna e maestr
Tra le riflessioni più dense e illuminanti di Battiato c’è il suo rapporto con la morte. Non la temeva, la accoglieva. La morte è un passaggio, non una fine. Ogni sera, prima di dormire, si metteva in contatto con l’idea della fine, come esercizio di lucidità: «Se non ti rapporti con la morte durante la vita, hai sprecato un’esistenza».
Anche qui, niente dottrine assolute: la reincarnazione non era per lui un dogma, ma un’intuizione naturale. «E se dopo non ci sarà niente? Va benissimo. Ma chi sei tu per pretendere qualcosa?». Ciò che conta è come si vive: «La mia aspirazione è morire felice, come ho vissuto. Senza conti in sospeso». Missione compiuta: «Vi posso dire che sono contento della vita che ho fatto. Sono stato molto fortunato. Questa è la conclusione».
L’arte della vita, diceva, gli interessava persino più della musica. Leggeva i grandi mistici – sufi, indiani, tibetani – e da essi traeva ispirazione per affinare sé stesso. Ogni difetto scoperto era per lui motivo di commozione, segno che qualcosa si muoveva nel profondo. Viveva tra Milo e il cielo, in comunicazione con alberi, lucertole, animali. Da tutto traeva insegnamento. Anche un semplice albero fuori dalla finestra poteva divenire un alleato nel lavoro di svuotamento.
Il passaggio e l’eternita
Franco Battiato ha ricordato a molti – e forse anche a se stesso – che siamo impermanenti, ma non effimeri. Che la vita è un pellegrinaggio verso una forma più alta di coscienza. Che la materia è inganno, e il samsara un’illusione. Che nulla è come sembra, eppure tutto è connesso.
La sua voce continua a parlarci anche ora che non c’è più. Ci invita al silenzio, alla disciplina, all’umiltà, alla preghiera. Ci ricorda che siamo parte dell’infinito, e che il senso profondo dell’arte, della vita e persino della morte, sta nell’abbandonare il superfluo per tornare all’essenziale. «Chi cerca trova, non ci sono dubbi», disse. E questo è il più grande insegnamento che potesse lasciarci.
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