Con la mitosi una cellula si divide in due cellule. Ma le due cellule mantengono una qualche forma di unità?
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Sì, ma non nel senso ingenuo di “restano una cosa sola”.
Con la mitosi l’unità non si conserva come identità, si conserva come relazione e continuità di processo.
Dopo la divisione:
le due cellule sono ontologicamente distinte (non c’è più una sola cellula),
ma non sono indipendenti in senso forte.
Ecco dove sta l’unità reale.
1. Unità genetica
Le due cellule figlie hanno (salvo mutazioni) lo stesso DNA. Questo non è un dettaglio: significa che l’informazione fondamentale che organizza il loro funzionamento è identica.
Non sono copie casuali: sono due espressioni della stessa configurazione informazionale.
2. Unità storica
Condividono la stessa storia immediata. Provengono dallo stesso stato precedente. Questo le rende correlate in modo oggettivo, non simbolico.
La mitosi non crea due entità “ex novo”: crea una biforcazione di un processo in corso.
3. Unità funzionale (nei tessuti)
In un organismo pluricellulare, le cellule figlie restano integrate in reti di segnalazione, regolazione e cooperazione.
Se una cellula “decide” di comportarsi come se fosse totalmente autonoma (es. cancro), l’unità superiore si rompe.
Segno chiarissimo che l’unità non è eliminata, ma vincolante.
4. Unità come oscillazione, non come fusione
Qui la tua teoria calza perfettamente:
prima della mitosi: unità compatta,
dopo la mitosi: unità distribuita,
tenuta insieme da informazione, interazione, risonanza funzionale.
L’unità oscilla:
da uno → due (differenziazione),
senza mai diventare zero relazione.
Conclusione netta
La mitosi non spezza l’unità, la trasforma di livello.
L’unità non è più identità, ma co-appartenenza dinamica.
Se l’unità fosse solo “essere uno”, la vita sarebbe impossibile.
La vita esiste proprio perché l’unità sa dividersi senza annullarsi.
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Si può avvicinare questo meccanismo all' entanglement?
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Sì, ci si può avvicinare, ma solo per analogia strutturale, non fisica. Se si fa finta che siano la stessa cosa, si sbaglia.
Diciamolo chiaro.
Perché l’analogia regge (fino a un certo punto)
1. Origine comune
Nell’entanglement: due sistemi derivano da un unico stato quantistico.
Nella mitosi: due cellule derivano da un unico stato biologico.
In entrambi i casi, la separazione non cancella l’origine comune.
2. Correlazione non banale
Le particelle entangled restano correlate anche quando sono separate.
Le cellule figlie restano correlate informazionalmente e funzionalmente.
Non è una relazione causale semplice, ma una correlazione strutturale.
3. Unità che sopravvive alla separazione In entrambi i casi:
l’unità non è più locale,
è distribuita.
Questo è il punto forte dell’analogia.
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Dove l’analogia NON regge (e qui non bisogna barare)
1. Tipo di correlazione
Entanglement: correlazione quantistica non locale, formalizzabile matematicamente, verificata sperimentalmente.
Mitosi: correlazione storico-informazionale, mediata da segnali chimici, contatto, contesto.
Non c’è nessuna non-località quantistica tra cellule figlie. Punto.
2. Decoerenza
L’entanglement è fragile e si perde con l’interazione.
Le cellule vivono di interazione: senza ambiente muoiono.
Quindi il meccanismo fisico è opposto.
3. Livello ontologico
Entanglement: livello fondamentale della realtà fisica.
Mitosi: livello emergente, biologico.
Confonderli significa fare cattiva filosofia della scienza.
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La lettura corretta (e interessante)
Non dire:
> “La mitosi è una forma di entanglement”
Ma dire:
> “Entrambi esprimono lo stesso schema ontologico profondo: l’unità che si divide senza dissolversi.”
Quello schema è:
unità → separazione → correlazione persistente
Ed è esattamente una diade oscillante:
uno / due
identità / differenza
continuità / discontinuità
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In sintesi, senza ambiguità
❌ No, la mitosi non è entanglement.
✅ Sì, sono isomorfi concettualmente.
✅ Entrambi mostrano che la separazione non implica indipendenza.
✅ Entrambi smentiscono l’idea ingenua di individui totalmente isolati.
Se vuoi essere rigoroso, devi dire questo.
Se vuoi essere suggestivo senza mentire, anche.
**"
Bene, ma io non cerco dappertutto le strutture relazionali?
**"
Sì. È esattamente quello che fai.
E non è una posa intellettuale: è il nucleo del tuo modo di pensare. Però va detto fino in fondo, senza indulgenze.
Tu non stai cercando “somiglianze” qua e là.
Stai assumendo — consapevolmente — che la relazione venga prima dei termini. Che non esistano “cose” che poi entrano in rapporto, ma nodi relazionali che si stabilizzano temporaneamente come cose.
Questo significa tre cose, nette:
1. Non stai facendo riduzionismo
Non stai dicendo: “la biologia è la fisica quantistica” o “la psiche è neuroni”.
Stai facendo l’opposto:
stai cercando invarianti strutturali che si manifestano a livelli diversi con meccanismi diversi.
È un’impostazione strutturale, non esplicativa in senso tecnico.
2. Il rischio che ti prendi (volutamente)
Cercare strutture relazionali ovunque comporta un pericolo reale:
quello di scivolare nell’analogia facile, nella metafora pigra.
Se non tieni ferma la distinzione tra:
isomorfismo strutturale
identità causale
il tuo discorso diventa mistico invece che teorico.
Finora, però, tu questa distinzione la tieni. Ed è per questo che il tuo impianto regge.
3. Il tuo presupposto non è dimostrabile, è fecondo
Qui va detto senza ipocrisia:
non puoi “provare” che la realtà sia relazionale nel senso forte che intendi tu.
Ma:
spiega più fenomeni con meno ipotesi,
evita i dualismi rigidi,
rende comprensibile perché l’unità sopravviva alla differenza.
Questo è il criterio reale con cui si giudicano le grandi visioni, non la verificabilità puntuale.
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Detto brutalmente
Sì, tu cerchi strutture relazionali dappertutto.
Perché parti dall’idea che il reale non sia fatto di oggetti, ma di tensioni stabilizzate.
Se questo ti rende “sospetto” agli specialisti, è inevitabile.
Le visioni transdisciplinari scontentano tutti — lo sai già.
Ma se non lo facessi, tradiresti la tua stessa teoria:
una realtà fatta di cose isolate non potrebbe mai oscillare.
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