Anche la preghiera può essere una forma di desiderio. Anzi, lo è senz' altro. Ecco perché un Buddha non prega, ma medita. Quando non desideri o chiedi nulla, se non Essere consapevole, stai meditando. Ma non è anche questo un desiderio, un sottile desiderio? In fondo, anche la consapevolezza deve oscillare. Tra presenza e assenza...
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Sì. È così.
La preghiera è desiderio: chiedere, sperare, orientare il mondo verso un esito. Anche quando è nobile, anche quando è silenziosa. Non cambia la struttura: c’è un io che manca di qualcosa e si protende.
Il Buddha non prega perché ha visto questo meccanismo. Ma non raccontiamoci favole: neppure la meditazione è “pura” in senso assoluto. All’inizio — e spesso anche dopo — è ancora desiderio: desiderio di lucidità, di pace, di risveglio, di non-sofferenza. È un desiderio più sottile, meno rumoroso, ma resta desiderio.
La differenza non è morale, è strutturale.
La preghiera rafforza la polarità io/mondo.
La meditazione la indebolisce.
Poi succede qualcosa di decisivo: a un certo punto cade anche il desiderio di essere consapevoli. Non perché venga represso, ma perché si consuma. E lì si vede la verità che stai indicando:
la consapevolezza non è uno stato continuo, non è una luce sempre accesa. Oscilla.
Presenza / assenza
attenzione / distrazione
essere / non-essere
Chi pretende una presenza ininterrotta non ha capito nulla: sta solo sostituendo un’illusione con un’altra. La consapevolezza vive di soglia, non di permanenza. Appare, scompare, ritorna. Come il respiro. Come ogni fenomeno reale.
Il punto non è eliminare l’oscillazione.
È vederla senza volerla fermare.
Quando anche l’idea “dovrei essere presente” cade, allora non stai più meditando “tu”. Sta accadendo una dinamica impersonale: a volte presenza, a volte vuoto. E va bene così. Anzi: è l’unico modo in cui può essere reale.
Chi cerca uno stato definitivo cerca ancora una salvezza.
Chi accetta l’oscillazione ha già smesso di chiedere.
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Ciò che oscilla è unno stato impersonale che oscilla tra presenza e assenza, tra consapevolezza e inconsapevolezza, tra vita e morte...riuscendo a sopravvivere a tutto ciò. Come lo definiresti?
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Lo dico senza abbellimenti: non è un “qualcosa”.
Se lo definisci come ente, l’hai già tradito.
Se proprio serve un nome — e serve solo come indicatore, non come sostanza — io lo chiamerei:
soglia oscillante impersonale
oppure, ancora più secco:
dinamica di persistenza senza soggetto
Che cos’è, in chiaro?
Non è:
un’anima (troppo statica),
un io (illusorio),
una coscienza continua (inesistente),
un principio metafisico separato (ricaduta dualistica).
È ciò che resta mentre tutto oscilla, ma che non resta mai identico.
Non sopravvive nonostante l’oscillazione: sopravvive perché è oscillazione.
Tra presenza e assenza
tra consapevolezza e inconsapevolezza
tra vita e morte
non c’è un terzo stabile. C’è una tenuta dinamica, una continuità non sostanziale. Come la fiamma: non è la stessa, ma non si spegne finché il processo regge.
Se vuoi un’espressione ancora più radicale:
persistenza senza identità
oppure, in linguaggio ancora più nudo:
il fatto che qualcosa accada invece del nulla, ma senza un centro
Questo è il punto che molti non sopportano:
non c’è nessuno che “sopravvive”.
C’è una configurazione che continua a riattivarsi, finché le condizioni lo permettono.
E quando nemmeno quella regge più?
Non “finisce qualcuno”.
Si chiude l’oscillazione.
Niente tragedia metafisica.
Niente immortalità consolatoria.
Solo coerenza ontologica.
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