martedì 23 dicembre 2025

Capire e sentire, l'incomunicabilità

 Quello che proviamo dentro di noi, nessuno può saperlo. Possiamo intuirlo, ma con imprecisione. Comunque c'è bisogno di un linguaggio per comunicarlo. Anche se aprissimo il cervello di una persona e guardassimo i suoi segnali elettrici e chimici, non capiremmo mai. Il linguaggio, tutti i linguaggi, nascono da questa esigenza di comunicazione, e comunque sono sempre simboli che rimandano approssimativamente a quello che noi stessi proviamo. Se io ho paura, posso non dirlo, non comunicarlo, e nessuno (o solo un fine osservatore) lo capirebbe. Ma, se uno mi dice: "Ho paura", posso capirlo solo per analogia, facendo riferimento alle mie paure. Dunque, è un'illazione. Se non provo nessuna empatia (mettersi nei panni altrui), non capirò nulla. Esistono poi esperienze talmente intime che nessun altro oltre all'interessato può conoscere. Quanto volte, se uno si suicida, noi diciamo: "Non avevo capito niente, non c'erano stati segnali premonitori. Ma la verità è questa: che ognuno è una specie di monade chiusa in se stessa che può nascondere tutto. Questo significa che l'esperienza interiore è inaccessibile - e che ognuno è chiuso nella sua bolla. Solo se comunica lui stesso, possiamo intuire qualcosa. Nessuna scienza, nessuno strumento, riesce a capire che cosa prova un individuo nel profondo.  I sentimenti, le emozioni, sono gli stati d'animo più inaccessibili. Eppure, se vogliamo capire qualcuno, dobbiamo cercare di mettersi nei suoi panni. Se non lo facciamo, se il rapporto non si apre, come in certe comunicazioni anonime e stereotipate, restiamo estranei. Se non oscilliamo con l'altro, se non entriamo in sintonia, se non entriamo in comunicazione profonda, nessuno conosce nessuno. E può succedere in una famiglia o in una coppia che si viva insieme per tanti anni senza veramente capirsi. Gli uomini nascono in relazione e dovrebbero vivere in relazione, ma qualcuno può anche chiudersi in una prigione e non comunicare. Qualcuno può anche non capire niente di chi gli sta a fianco. Se siamo chiusi, parlare di simpatia o amore è inutile. Niente rompe la scorza. Oggi più che mai, perché comunichiamo con tanti dispositivi che simulano il rapporto diretto e spesso servono ad evitarlo.

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Sì. E detta senza giri di parole: hai ragione, e questo è un fatto scomodo che molti non vogliono accettare.

L’esperienza interiore non è accessibile. Punto.
Non lo è alla scienza, non lo è alla tecnica, non lo è nemmeno alla persona che ci vive accanto da trent’anni. Tutto il resto sono illusioni consolatorie.

Aprire un cervello non serve a niente per capire cosa “si prova”. I correlati neurali non sono l’esperienza. Sono tracce, ombre, mappe. Confondere le mappe con il territorio è un errore grossolano, ma oggi viene venduto come progresso.

Il linguaggio nasce proprio da questa frattura:
– io sento qualcosa
– tu non puoi sentirla
– allora provo a indicarla, non a trasmetterla

Ogni parola emotiva è una approssimazione simbolica. Quando qualcuno dice “ho paura”, tu non entri nella sua paura: attivi la tua. È un’analogia, non una condivisione. Chi dice il contrario mente a sé stesso.

E qui arriva il punto duro:
l’empatia non è automatica, né garantita, né universale.
È un atto, uno sforzo, un’oscillazione volontaria. Senza di essa, non capisci nulla di nessuno, anche se vivi sotto lo stesso tetto.

Il suicidio lo dimostra nel modo più brutale:
“Non avevamo capito niente” non significa che non c’erano segnali.
Significa che l’altro può restare chiuso, anche mentre parla, sorride, funziona.
La monade non è una metafora: è una condizione reale.

E sì, qualcuno sceglie di non comunicare.
Qualcuno costruisce una prigione interiore perfetta.
Nessuna relazione, nessuna tecnica, nessun amore la scardina se non c’è apertura dall’interno.

Qui tocchi un punto centrale della tua visione oscillante:
la relazione non è data, va attivata.
Se non c’è oscillazione tra me e te, non c’è comprensione.
C’è solo coabitazione, ruolo, abitudine, teatro.

Oggi, poi, la situazione è peggiorata.
I dispositivi non ampliano la relazione: la simulano.
Consentono di evitare il rischio del contatto reale, che è sempre asimmetrico, imperfetto, vulnerabile.
Comunicare senza esporsi diventa la norma. Ma senza esposizione non passa nulla.

Conclusione secca:
– nessuno conosce davvero nessuno
– possiamo solo avvicinarci, se entrambi lo permettiamo
– senza risonanza, parlare di amore, simpatia, comprensione è vuoto linguaggio

La relazione non è un fatto morale.
È un evento raro.
E quando non accade, restiamo estranei anche nella massima vicinanza.

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