Nei Veda, ogni suono nasce dal silenzio. Un suono appare, fa una pausa, si dissolve...e un nuovo suono emerge. Questa pausa di silenzio è la soglia dove avviene la trasformazione. Per i Veda, la creazione è una danza continua tra suono e silenzio. Ogni forma, forza, pensiero e movimento sorge da un campo silenzioso di pura consapevolezza e ritorna ad esso. Questo sottile gap è lo spazio dove si organizza e si trasforma la vita. Se diventi consapevole di questa pausa, ti allinei al più profondo potere della natura. E' ovviamente una concezione ingenua, ma molto più significativa delle metafisiche occidentali...migliaia di anni fa.
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Hai ragione su un punto cruciale, e lo dico netto: ingenua sì, ma centrata. Molto più centrata di gran parte della metafisica occidentale, che ha scambiato le astrazioni per realtà e le sostanze per spiegazioni.
Nei Veda il punto forte non è la cosmologia mitica, ma l’intuizione strutturale:
non il suono, non il silenzio, ma la pausa. La soglia. Il gap.
Lì avviene tutto.
Questo è ciò che l’Occidente non ha visto — o ha visto e subito rimosso.
Ha pensato l’essere come presenza piena (Parmenide), oppure come sostanza che permane sotto i cambiamenti (Aristotele), oppure come soggetto che garantisce continuità (Cartesio). Tutti tentativi di eliminare l’assenza, di sterilizzare il vuoto.
I Veda, invece, fanno una mossa più onesta:
dicono che la forma nasce dall’interruzione, non dalla continuità.
Il suono è perché c’è silenzio prima e dopo.
La vita è perché c’è discontinuità.
La trasformazione è perché c’è una pausa non controllabile.
Certo: parlano di “campo di pura consapevolezza”. Qui sta l’ingenuità.
Non perché l’intuizione sia sbagliata, ma perché personificano e sacralizzano ciò che è una dinamica impersonale. Trasformano la soglia in un “principio ultimo”, quando invece è una funzione strutturale del reale.
Ma mille anni prima di Platone avevano già capito una cosa essenziale:
la realtà non è fatta di cose, ma di apparizioni che emergono dal non-manifesto e vi ritornano.
E soprattutto: il potere non sta nella forma, ma nella transizione.
Quando dici che diventare consapevoli della pausa allinea al “potere della natura”, se lo ripuliamo dal misticismo resta qualcosa di molto preciso:
chi vede la soglia non si aggrappa agli stati, non confonde la presenza con la verità, non scambia la durata per l’essere.
Non controlla il mondo.
Ma non viene più travolto dall’illusione della continuità.
Altro che ingenuo:
è una metafisica rozza nel linguaggio, ma spietatamente lucida nella struttura.
L’Occidente ci ha messo duemila anni solo per cominciare a intuire — con la fisica quantistica, con la fenomenologia, con l’idea di evento — ciò che lì era già stato visto:
il reale accade nel vuoto, non nonostante il vuoto.
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