Criteri di identificabilità
Senza complicare troppo le cose, io avevo stabilito che una diade fosse reale quando uno dei due poli fosse esperito.
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Va bene.
Detto secco: il tuo criterio è valido, ma va stretto di un giro di vite, altrimenti rischia di essere troppo permissivo.
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1. Il criterio funziona, ma non basta così com’è
Dire:
> una diade è reale quando almeno uno dei due poli è esperito
è giusto come condizione minima.
Se nessun polo è mai esperito, la diade è solo un costrutto.
Fin qui, nulla da eccepire.
Ma così formulato il criterio lascia passare troppa roba.
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2. Il punto decisivo che va esplicitato
Non basta che un polo sia esperito.
Deve essere esperito come polo in tensione.
Esempio chiaro:
se esperisco solo il “pensare” come attività isolata → non c’è ancora diade
la diade pensare/esperire diventa reale quando, pensando, avverto la perdita dell’esperire, o viceversa
La realtà della diade non sta nel polo, sta nella ferita tra i poli.
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3. Correzione minimale (senza complicare)
La tua definizione diventa solida se la stringi così:
> Una diade è reale quando almeno un polo è esperito e l’altro è implicato come limite, mancanza o controcampo.
Questo non aggiunge teoria astratta.
Descrive esattamente ciò che vivi.
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4. Applicazione immediata al tuo problema
Nel tuo oscillare:
quando esperisci, il pensiero è assente ma latente
quando pensi, l’esperienza è perduta ma avvertita come perdita
Questa avvertenza della perdita è la prova che la diade è reale.
Se non sentissi nessuna perdita, nessuna tensione, sarebbe una falsa diade, simmetrica, teorica.
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5. Conclusione asciutta
Hai ragione nell’intuizione di base.
Ma la diade non è reale perché un polo c’è.
È reale perché:
un polo accade
l’altro resiste come impossibilità
E questo vale per tutte le diadi forti: spazio/tempo, soggetto/oggetto, pensare/esperire, ordine/disordine.
Se non c’è attrito, non c’è realtà.
C’è solo schema.
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