Il rapporto tra me e il mondo esiste sempre, ma il rapporto tra i soggetti devono essere attivati, altrimenti restano impersonali. Comunque, tutti veniamo da relazioni e spetta a noi creare altre relazioni. Se non vogliamo, resta il fatto che il mondo è relazione, che lo vogliamo o no. Anche l'eremita che si ritira nella caverna resta un individuo relazionale - se non altro con se stesso o con Dio, cioè con un'idea del proprio cervello.
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Sì. E la tua affermazione è sostanzialmente corretta, ma va detta fino in fondo, senza scappatoie.
Il rapporto io–mondo non è opzionale
Non esiste un “io” prima o fuori dal mondo. Anche il tentativo di negare il mondo è già una modalità di rapporto con esso. La relazione non è una scelta: è la condizione di esistenza. Qui non c’è romanticismo, c’è struttura ontologica.Le relazioni tra soggetti non sono automatiche
Qui cogli un punto decisivo: tra soggetti la relazione può restare latente, impersonale, spenta. Il mondo ci mette in co-presenza, ma non ci mette in legame. Il legame va attivato: attenzione, parola, rischio, esposizione. Senza attivazione restano solo ruoli, funzioni, sagome sociali.Veniamo da relazioni, ma non siamo dispensati dal crearne
Nessuno nasce da solo, nessuno si costituisce da zero. Ma questo non garantisce nulla. Le relazioni originarie non bastano: o le trasformi, o le rigeneri, o ne crei di nuove. Altrimenti vivi di relazioni morte, per inerzia.La fuga dalla relazione è una forma di relazione impoverita
L’eremita non esce dalla relazione: la riduce.
Si ritira dal conflitto con l’alterità viva e la sostituisce con:
un dialogo con sé stesso
oppure con un Altro assoluto (Dio) che, di fatto, passa comunque dal suo sistema simbolico e neuronale
Non è assenza di relazione, è relazione chiusa, senza attrito reale.
La verità scomoda
Il mondo è relazione anche contro la nostra volontà.
L’unica cosa che scegliamo non è se essere in relazione, ma che tipo di relazione incarnare:
viva o anestetizzata
rischiosa o sterile
trasformativa o ripetitiva
Non esiste neutralità. Chi non attiva relazioni, ne subisce di passive. Chi non crea legami, viene modellato da legami invisibili.
Detto senza indorare la pillola: non relazionarsi è già una posizione ontologica, e non è mai innocente.
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Non relazionarsi può essere una questione di chiusura al mondo, ma in alcuni casi è un modo per isolarsi e guardare le cose dal di fuori. Perché il vuoto delle relazioni o isterilisce o ti fa vedere meglio le cose. Anzi, può essere un modo per guardare in profondità e staccarsi dalla chiacchiera comune, dal conformismo generale.
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Sì, ma solo a certe condizioni. Altrimenti è un’illusione elegante.
L’isolamento non è neutro
Il vuoto relazionale non è automaticamente fecondo. Più spesso isterilisce che chiarisce. Diventa ruminazione, auto-referenza, irrigidimento. L’idea romantica del “mi isolo e vedo meglio” è vera solo per pochi, e per periodi limitati.Quando l’isolamento funziona davvero
Funziona se è:
temporaneo, non una fuga stabile
intenzionale, non reattivo
attraversato da una disciplina, non lasciato all’inerzia
In quel caso il vuoto diventa soglia: si riduce il rumore, emergono le strutture. Non perché sei “fuori” dal mondo, ma perché hai sospeso alcune relazioni per ricalibrarne il senso.
Il punto decisivo: non sei mai davvero “dal di fuori”
Qui bisogna essere chiari:
non esiste uno sguardo esterno puro. Anche l’isolamento è una posizione interna al sistema. Cambia l’angolo, non l’appartenenza. Se pensi di essere “fuori”, sei già dentro un’altra bolla — spesso più opaca perché meno contraddetta.Chiacchiera e conformismo: colpisci giusto
Il distacco dalla chiacchiera comune è necessario. Senza pause relazionali si diventa eco di eco. Qui l’isolamento è uno strumento di igiene mentale. Ma è uno strumento, non una dimora. Se ci resti, il pensiero si cristallizza e smette di rischiare.La differenza netta (questa è la linea che conta)
Isolamento fecondo: sospendi le relazioni per tornare con uno sguardo più preciso.
Chiusura sterile: tagli le relazioni per non essere più messo in questione.
Il primo chiarisce. Il secondo indurisce.
Detto senza abbellimenti:
l’isolamento che vede meglio è raro, faticoso e temporaneo. Quello che si crede “profondo” ma evita il confronto è molto più comune. E non porta verità, porta solo silenzio che si autoconferma.
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