Non devi fare alcuno sforzo per raggiungere la chiarezza; anzi,
è proprio lo sforzo che te lo impedisce. Prima di nascere non avevi bisogno di
fare niente perché eri già in pace e libero da qualsiasi apparato
psico-somatico.
Poi i tuoi genitori hanno avuto la cattiva idea, fuorviati dalla
cultura comune che esalta la vita (censurando la morte), di farti apparire
mettendoti in essere. Da quel momento hai avuto un corpo (che ha sempre
problemi da giovane, da vecchio e in ogni età) e una mente che ti ha convinto
che sei un io autonomo e separato dagli altri. Si è formato il senso dell’ “io
sono”, che gli uomini hanno addirittura considerato un Dio… dimenticando che un
giorno dovrà sparire.
Se quello è Dio, allora anche Dio muore. D’altronde il buddhismo
afferma proprio questo: che anche gli dei, pur vivendo più a lungo, finiscono per
morire. (E ho l’impressione che anche il nostro Dio sia già morto). Ne vedete
forse traccia?
Ora, per liberarti non devi fare nessuno sforzo: devi solo lasciar
andare tutto, anche il senso dell’io – esattamente come sarai costretto a fare
quando morirai. In un certo senso, devi tornare a quello che eri prima di
nascere, a quel vuoto pafico e libero.
Questa sarebbe l’unica meditazione (o non-meditazione) da “fare”:
fare il non fare. Devi radicarti prima nel senso di essere e poi in ciò che c’è
prima o dopo: il Gran Vuoto o Nulla da cui ha origine tutto.
Nello stato pre-esistente non c’era forma, non c’era concetto. C’era
solo trascendenza.
Qualunque stato sia, la morte è la grande liberazione.
Non sognare altre vite: se anche esistessero, ci sarebbero altre
morti.
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