Chi pensa e vede solo le cose di questo
mondo è come se avesse la vista impedita. Vede solo certe cose, ma ignora le altre
– e soprattutto ignora la propria ignoranza.
Quindi è come un sughero in balia delle
onde: va sopra e sotto, da una parte e dall’altra. Viene sballottato, viene
trascinato da perdite e guadagni, da lodi e biasimi, da piaceri e dispiaceri,
da attrazione e repulsione.
Al contrario, se stiamo attenti, se ci
concentriamo, non andiamo più a casaccio, avanti e indietro, ma rimaniamo
centrati in un punto ideale che ci permette di guardare le cose e noi stessi
con distacco. In meditazione bisogna esercitare una sorta di omeostasi, di riequilibratura
(upekkha), che ci consente di stare
un po’ al di sopra delle cose, dell’io e delle sue preoccupazioni, al di fuori
dell’abituale sguardo egocentrico e limitato. Otteniamo così uno sguardo
equanime.
Secondo la tradizione buddhista, gli
attaccamenti che ci oscurano la vista non sono solo quelli sensuali, ma anche
quelli alle immagini (pensiamo alla nostra civiltà delle immagini), ai riti e
alle tradizioni con la loro ossessività e soprattutto all’idea di sé.
Se meditiamo, scopriamo ben presto che
siamo condizionati fin nell’intimo, fin nelle convinzioni più basilari.
Siamo tutti legati alla società e all’agitazione
del mondo, tanto da non apprezzare la gioia del ritiro, della quiete e dell’illuminazione.
"Di tutti gli stati, condizionati o incondizionati, il distacco è il più elevato" (Anguttara Nikaya)
Ma da dove nasce il distacco? Non da un
preconcetto o da un atto di fede, bensì da un’attenta e spassionata osservazione
del mondo, in particolare dalla constatazione che non c’è niente che non sia
provvisorio, impermanente e privo di sostanza. Le cose, anche le più solide,
non sono che fragili insiemi di atomi e particelle, pronti a cambiare e a
dissolversi in ogni istante.
Dunque non ha senso attaccarsi a ciò
che instabile, mutevole e limitato nel tempo e nello spazio. Di tutto questo
fantastico universo non resterà niente, ogni cosa è destinata a sparire.
Se ci leghiamo a qualcosa o a qualcuno,
alla fine, quando cambierà o sparirà, non ci resterà che sofferenza e
delusione.
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