lunedì 13 maggio 2019

Liberarsi dalla sofferenza, liberarsi dal male


Benché il Dio delle religioni tradizionali di massa ci venga presentato in termini di amore e di funzione paterna, deve però svolgere anche la funzione di giudice supremo. Alla fine, dopo la vita, è lui che deve premiare che gli si sia sottomesso e punire chi abbia fatto del male o si sia ribellato alla sua autorità. Questo ci dice quanto siano rozze e contraddittorie le nostre idee sul creatore - e anche reazionarie!
C’è bisogno di un Dio esterno per giudicare?
In Oriente, esiste l’idea di una legge retributiva che funziona automaticamente – e questa mi sembra un’idea un po’ più evoluta. Non c’è più un “Signore” che deve punire, ma siamo noi stessi, che in base alle nostre azioni, accumuliamo un karma positivo o un karma negativo.
Che prova c’è?
In realtà, l’idea nasce dalla constatazione che tutti abbiamo la stessa origine e che quindi tutti siamo interdipendenti e interconnessi. Se io faccio del male, rompo questa connessione e creo qualcosa di disarmonico che non può che creare danni - agli altri e a me stesso.
Se ci facciamo caso, possiamo verificarlo. Il male che facciamo si traduce in noi, nel nostro stesso corpo, in una disarmonia e può essere notato da particolari contratture o rigidità. Non siamo in armonia e ci danneggiamo fisicamente e spiritualmente.
Fra l’altro, sviluppare questa sensibilità verso il nostro stato psico-fisico è anche un esercizio di meditazione, in cui dobbiamo notare per prima cosa che cosa ci impedisca di raggiungere e conservare la calma, la stabilità e la pace.
La realizzazione non è che liberazione dalla tensione della vita, cioè dalla sofferenza.
Non ragioniamo dunque più in termini di bene e di male, ma di sofferenza – nostra e altrui. Il male diventa in tal senso la malattia – la malattia da cui dobbiamo liberarci per stare bene.

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