Qual è il criterio per stabilire quando un
cosa è reale?
Se ci pensiamo, capiamo che, quando una cosa
ha prima un inizio e poi necessariamente una fine, questa cosa è effimera
(anche se dura millenni), temporanea, transitoria, precaria e instabile, e
quindi ha la consistenza di un sogno.
Che cosa stabilisce, infatti, che siamo in un
sogno se non il fatto che a un certo punto finisce (e ci svegliamo in un’altra
dimensione)?
E questo succede con la vita che è destinata a
morire. Il suo grado di realtà è dunque dimidiato, inficiato, limitato.
È sorta per durare poco. Non può ambire a
essere reale. Appartiene alla categoria dei sogni, delle immaginazioni, delle
illusioni, delle fantasie, delle allucinazioni.
Tutto nell’universo è destinato a finire,
dalle stelle ai pianeti, e quindi tutto è un gigantesco sogno della mente.
Ma chi è il sognatore?
L’entità che si pone la domanda, ossia la coscienza
che sa di dover morire, non può che portare dentro di sé un’angoscia cosmica. “Perché
deve finire tutto e io devo scomparire con le persone che ho amato?”
Un interrogativo che si poneva già il poema sumero di Gilgamesh del terzo
secolo a.C..
Per vincere questa angoscia ci siamo inventati
paradisi (e inferni) istituiti da qualche Dio o da cicli di reincarnazione. Ma
la toppa è peggiore del buco, perché proiettiamo la logica dualistica della
nostra mente addirittura in un ipotetico aldilà. Infatti ci sarebbero gli
inferni, i purgatori, le condanne, i peccati, i demoni, i diavoli… e il male
continuerebbe per sempre.
Lasciando da parte queste superstizioni, c’è
un’altra possibilità. Che l’aldilà sia in realtà… la realtà, da cui siamo
usciti inaugurando le nascite e le morti, i principi e le fini, le gioie e i
dolori, il tempo e lo spazio. Tutto questo prima
non c’era e non c’era nessun bisogno che ci fosse.
Per un soprassalto o per una vibrazione del
tutto spontanea, dall’Assoluto, che non sapeva di essere, che non aveva bisogno
di essere (perché al di là tanto dell’essere quanto del non essere) è nata la coscienza
che ha proiettato tutto questo universo.
Ma l’universo resta una specie di
allucinazione o di sogno, da cui ci sveglieremo con la morte, che segna la fine
del corpo e della coscienza individuale. E che cosa rimarrà?
Rimarrà lo Stato originale, che non è un Dio,
una personalità o una volontà, ma qualcosa di unitario (l’Uno) che non può
essere definito dalla nostra mente duale.
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