Un lettore mi contesta l’affermazione che il
non essere sia a fondamento dell’essere, perché, già secondo Parmenide, il non
essere o il nulla è esattamente ciò che non è.
È vero a livello assoluto (la mancanza di ogni
cosa, di tutto: qualcosa c’è sempre), ma non è vero a livello relativo (la
mancanza di qualcosa).
In altre parole, il tutto non può non essere,
ma le singole cose possono scomparire e non essere più.
Il fatto è che si tratta di semplici concetti
della mente. E il nulla esiste, almeno a livello concettuale, proprio per poter
pensare il tutto. E viceversa.
Sul piano della realtà abbiamo più esperienza
del nulla (la mancanza di qualcosa o di qualcuno) che del tutto. Per esempio,
quando una persona muore, per noi non esiste più e quindi è nulla.
Quanto al tutto, rimane un concetto vago,
perché noi non possiamo averne esperienza… se non di qualcosa che si
contrappone al nulla. Esiste dunque solo come concetto.
Il problema è che la nostra mente è duale e
deve sempre contrapporre due opposti, che sono puramente teorici, ma non
esperibili. Quando potremo esperire il tutto o il nulla (che sono la stessa
cosa), la mente con i suoi concetti sparirà.
Gentile Lamparelli,
RispondiEliminaparlando della realtà ultima penso sia necessario precisare cosa intendiamo con le parole “tutto” e “nulla”. Se con nulla intendo la mancanza di determinazioni della realtà ultima, che non è circoscritta a questa realtà, che non è contenuta dall’universo (o dagli universi) allora siamo d’accordo che il nulla “esiste”, inteso come eterna eccedenza della realtà ultima rispetto a qualsiasi determinazione. Se invece intendo il nulla come la realtà della non esistenza, allora è evidente che si cade nell’assurdo.
Analogo discorso con il termine tutto, che se indica soltanto questa realtà, l’universo o gli universi, è chiaro che indica solo una parte della realtà ultima.
Certamente che a livello relativo i contrari, qualcosa e la mancanza di quel qualcosa bianco-nero caldo-freddo notte-giorno ecc., sembrano reali, ma per l’appunto a livello relativo, cioè dall’unico punto di vista a noi possibile, che è quello della nostra percezione.
Dico “sembrano” perché se ci mettiamo dal punto di vista (che è una contraddizione in termini ma mi passi l’espressione) dell’Assoluto, niente e nessuno può mai scomparire e non essere più, pena l’assurdo di un Assoluto divenuto mancante di qualcosa e quindi non più assoluto.
Anche la mente, che pure è duale, può capire che la realtà, il tutto, se intesa come realtà ultima, non può avere contrario.
Il problema a mio avviso non è tanto la realtà ultima quanto la nostra realtà. È evidente che questa è contenuta in quella; ma come, in che termini? Per coerenza logica la nostra realtà, essendo contenuta nell’eternità della realtà ultima, non può mai scomparire e non essere più; quindi mi pare logico pensare che ciò che per noi sembra scomparire, una persona che muore appunto, scompare soltanto alla nostra percezione, che è limitata.
Quanto all’esperire il tutto, a me pare che se siamo contenuti nella realtà ultima, ne facciamo esperienza in ogni secondo della nostra vita. In realtà siamo eterni – come forse si può portare a consapevolezza negli stati profondi di meditazione.
Un saluto cordiale
Giacomo Verde
Grazie per la riflessione. A me sembra che alla fine i contrari debbano coincidere, perché sono in realtà due estremi di una stessa realtà che ci sfugge sempre, ma che sta alla base di tutto e che di volta in volta si presenta con un volto o con un altro, come le due facce della luna. Può darsi che ci sia qualcosa di eterno in noi, ma certamente non l'io diviso. La frattura deve ricomporsi.
EliminaComunque, attualmente abbiamo a che fare con semplici concetti dualistico-filosofici che sono ben distanti dalla verità-realtà ultima. Il problema è superare questo tipo di mente che, per conoscere, deve dividere,