Non c’è pericolo che qualcuno si fermi un
momento a riflettere. Appena si ha un’ora libera, ci si dedica a viaggi,
spettacoli, hobby, rapporti sociali, cinema, televisione, cellulari e compagnia
bella… tutto pur di non meditare, di non stare con se stessi. Una perfetta
alienazione, cioè non essere se stessi, non voler mai essere se stessi.
Siamo affascinati dallo spettacolo del mondo e
lo guardiamo incantati come se fossero fuochi d’artificio o qualche film
avvincente.
Meditare non è essere coinvolti o pensare o
fantasticare, ma essere coscienti della coscienza, assaporare il senso di
essere e poi capire cos’è il nulla e la morte.
Tutti abbiamo paura di morire, perché abbiamo
paura di perdere la coscienza. E in effetti è la coscienza che proietta tutto
lo spettacolo.
Ma è uno spettacolo illusorio, fugace,
inconsistente. Sostanzialmente falso.
Se, prima di nascere, ci avessero chiesto di
entrare in un utero e passare anni a crescere per poi morire, nessuno avrebbe accettato.
Saremmo stati stupidi. In realtà siamo stati trascinati in questo mondo, non
per il nostro desiderio ma per il desiderio dei nostri genitori. Sono loro che
hanno compiuto il misfatto.
Nascere è una cattiva idea, uno sbaglio, un
imprigionamento, una degenerazione: tutti i miti d’origine ne accennano.
La nascita della coscienza è la spaccatura
cosmica, lo sdoppiamento di ciò che c’era prima – uno stato unitario.
Le religioni e le autorità sociali ci
decantano la bellezza della vita, perché vogliono renderci schiavi di loro che
comandano.
Ma, se la vita fosse così bella, perché nessuno
torna mai indietro dal mondo dei morti?
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