Vita e morte: questa è la prima delle antinomie complementari che
ci modellano. Sappiamo che per vivere dobbiamo morire e per morire dobbiamo
vivere.
Il meccanismo è ciclico, nel senso dall’uno viene l’altro senza
soluzione di continuità. Viviamo perché moriamo, moriamo perché viviamo. Non se
ne può uscire.
È come la faccia oscura della luna; poiché noi sperimentiamo la
faccia visibile, sappiamo che esiste anche quella invisibile. Ma questo sapere
è essere.
La cosiddetta vita e la cosiddetta morte, perché in realtà è una
terza cosa che non sappiamo né definire né pensare, Crediamo di nascere e poi
crediamo di morire, ma non succede niente di tutto questo. Nessuno nasce e
nessuno muore. È una specie di grandioso spettacolo.
La luce si accende e la luce si spegne, come al cinema. Le cose
sembrano apparire e poi scomparire. Ma le cose in sé non esistono: sono solo
immagini su uno schermo.
Come al cinema, noi ci identifichiamo: godiamo e soffriamo come se
dietro le immagini ci fosse qualcosa di vero. Ma non c’è niente: solo luci,
ombre, suoni, vibrazioni, rappresentazioni che però ci catturano. Se aggiungessimo
i sapori, gli odori e i gusti, sarebbe il nostro mondo.
Nel nostro caso, la luce che le fa apparire è quella della
coscienza che ci dà l’illusione-sensazione che le cose siano reali. Infatti le
cose sono reali, cioè esistono, perché sono pensate. Il pensare, l’esserne
coscienti, le fa apparire. Il che significa che le cose sono reali solo perché
c’è un testimone. Senza testimone, non potrebbero apparire.
Ma chi è il testimone? Quella parte della realtà che le pensa: la
mente. Senza mente, non ci sarebbe niente.
Infatti, quando si muore, scompare un universo, nel senso che
scompare la mente-coscienza-io.
È stata rilevata dagli scienziati la straordinaria analogia tra le
strutture del cervello e le strutture del cosmo, con la stessa distribuzione dei
neuroni-galassie e dei filamenti-collegamenti che li uniscono tutti in una
rete. Nel cervello ci sono 69 miliardi di neuroni e nell’universo 100 miliardi
di galassie. È come se il cosmo fosse un gigantesco cervello dove tutte le cose
sono connesse. L’universo insomma si presenta come un organismo vivente.
È come se tutto fosse organizzato secondo determinati schemi, in
base ai quali il microcosmo si ordina come il macrocosmo. Come fuori così dentro,
diceva Ermete Trimegisto. Come fuori così dentro, come in alto così in basso,
come nel grande così nel piccolo.
Se però il cosmo fosse un immenso cervello, ci sarebbe anche un’immensa
mente, e noi forse noi saremmo i neuroni di questo cervello. Qualcuno ha anche
ipotizzato che ci troveremmo in un immenso gioco simulato, organizzato da
Qualcuno.
Senza ricorrere all’ermetismo, in Oriente si è sempre detto che l’universo
è un insieme di semplici immagini, un gioco cosmico, un apparire che può
scomparire in un istante e che scompare per ciascuno di noi alla morte. Il
televisore o lo schermo cinematografico che proiettava le immagini si spegne e
le immagini (cioè il nostro universo) scompare. Puf! Che cosa rimane? Appunto
uno schermo vuoto. Che un bel giorno si riaccenderà e proietterà altre immagini,
altri mondi, altre vite.
Ma il meccanismo è autonomo, spontaneo: esce dal vuoto e rientra
nel vuoto. Senza un senso razionale. Proprio un gioco.
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