Tutti
vorremmo essere felici, ma poiché la felicità è legata in modo complementare
all’infelicità, non possiamo realizzarla o la realizziamo solo per brevi
periodi. Poi la ruota gira, l’oscillazione deve andare dall’altra parte, e
quindi ritorna l’infelicità. I due poli sono legati indissolubilmente e, se
vogliamo l’uno (di solito la felicità), dobbiamo prenderci anche l’altro.
Ci sono
un mucchio di consigli e di strategie per conservare la felicità, ma tutte
s’infrangono davanti alla connessione con l’infelicità. Di solito noi crediamo
che, facendo del bene, ci verrà altro bene. Addirittura, nel buddhismo, esiste
un metodo (il tonglen) che consiste nell’augurare bene e felicità agli altri,
prima agli amici e poi ai nemici. Il che ricorda il cristianesimo che ci
raccomanda di amare il prossimo e perfino i nemici. Questo nella convinzione
che il bene, fatto o augurato, ci ritorni in qualche modo.
Ma le
cose non vanno così. Una legge della fisica ci dice che ad ogni azione deve
corrispondere una reazione uguale ma di segno contrario. Quindi, facendo un’azione benefica, ci viene il suo
contrario.
Il
mondo è stato fatto così: le forze in gioco vanno a due a due, uguali per
intensità ma contrarie. Non importa se sono forze fisiche, mentali, emozionali,
morali o degli eventi. Devono contrapporsi restando però legate. Fra parentesi,
lo sapete che, per il fenomeno dell’entanglement quantistico, due particelle che si sono trovate in interazione
reciproca per un certo periodo, anche se separate spazialmente, rimangono in
qualche modo legate indissolubilmente (entangled), nel senso che quello che
accade ad una di esse, si ripercuote istantaneamente anche sull’altra,
indipendentemente dalla distanza che le separa? Una correlazione dunque che
comporta “un’azione fantasmatica a distanza”.
Mi piace pensare che questa “azione a
distanza” esista fra tutte le forze complementari. La felicità non può essere
separata dall’infelicità, il bene dal male, il piacere dalla sofferenza, ecc.
Perché mai del resto si dice che amare significhi soffrire? Non è perché i due
opposti vanno sempre insieme? Del resto è logico: l’amore ci rende più
sensibili e la sensibilità ci espone alla sofferenza e quindi all’odio, al
rancore, alla gelosia, alla voglia di possesso. Se mi rendo conto che non posso
vivere senza quella persona – non è questa un’ammissione di possibile odio?
Allora ci dobbiamo mettere a far del male?
Potrebbe funzionare per un breve periodo, ma poi la ruota girerebbe comunque.
Non c’è niente da fare: qualunque cosa
facciamo, da qualunque polo partiamo, la ruota girerà comunque in senso
avverso.
Il fatto è che il problema della felicità è
impostato male. Non posso far niente per essere felice o per accaparrarmi il
bene, e per evitare il male e l’infelicità, se non piccoli accorgimenti che però
non potranno cambiare l’oscillazione o la rotazione in senso avverso. Devo
sempre aver presente che non posso avere uno dei due poli se non avendo, prima
o poi anche l’altro, perché i due procedono come gemelli uguali per tutto ma
con caratteri opposti. Questo è il karma dell’umanità. Il polo opposto ci
accompagna come l’ombra.
Perché, del resto, i dittatori sanguinari
del mondo godono di ottima salute o non diversa da quella dell’uomo comune?
Ogni forza contiene già il seme del suo
opposto. Il movimento ciclico, la simmetria rotazionale, non può essere
fermata. Quando lo yang ha raggiunto il suo massimo, deve ritrarsi a favore
dello yin. Ecco perché “allontanarsi significa tornare.” Ogni volta che uno dei
due poli si è sviluppato al massimo, ecco che deve lasciare il posto allo yin.
Il problema allora non è quello di eliminare
uno dei due poli, ma quello della loro armonia. Ci dev’essere un equilibrio di
base, rotto il quale subentra la degenerazione o la malattia. L’importante è
l’interazione dinamica fra i due opposti, non l’eliminazione di uno dei due.
Ciascuno dei due poli è legato dinamicamente all’altro.
Dice Lao-tzu che ogni volta che si vuole
ottenere qualcosa, bisogna partire dal suo opposto.
“Se si vuole restringere, bisogna
innanzitutto estendere.
Se si vuole indebolire, bisogna innanzitutto
rafforzare.
Se si vuol far perire, bisogna innanzitutto
far fiorire.
Se si vuole acquisire, bisogna innanzitutto
offrire…
Ciò che è storto diventa diritto.
Ciò che è vuoto diventa pieno.
Ciò che è consumato diventa nuovo
Il difficile e il facile si completano l’un
l’altro, il prima e il dopo si seguono l’un l’altro…”
A questo punto, se vuoi la felicità o il
bene, non devi sforzarti di ottenerli da soli, ma di mantenere un equilibrio
dinamico tra felicità e infelicità, tra bene e male.
Anche in Occidente sono state sviluppate le
stesse idee, tanto che anche Eraclito afferma che gli opposti sono poli
complementari e quindi formano un tutto unico. “Le cose fredde si riscaldano,
il caldo si raffredda, l’umido si dissecca, il secco si inumidisce… Il dio è
giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame…”
Diceva il grande filosofo indiano Nagarjuna:
“Le cose derivano il loro essere e la loro natura dalla mutua dipendenza e non
sono nulla in se stesse.”
Allora come bisogna agire? Bisogna fluire
con la corrente, cercare un equilibrio, un’armonia fra opposti sempre
variabili, non cercare una felicità in astratto, separata da tutto e isolata.
Sarebbe come voler essere felici chiudendoci
in una torre di avorio, isolata da tutto.
Già questo ci renderebbe infelici. Il Buddha
da giovane lo aveva fatto. Ma era insoddisfatto, così come sono insoddisfatti i
nostri giovani protetti e viziati.
Inoltre, una situazione di isolamento perfetto non è possibile, perché
nel mondo tutte le cose sono interconnesse e interrelate. E noi in mezzo a
loro.
Anche il nostro io è collegato al tutto, nel senso che è collegato agli
altri (nessuno nasce da solo) e a tutti gli altri enti ed eventi. È impossibile
isolare un individuo. Siamo nativamente interdipendenti. Questo significa che
per conoscere un io, bisogna interagire ed, entro certi limiti, influenzarlo,
modificarlo. Il che avviene sia quando cerchiamo di conoscere un altro sia
quando di cerchiamo di conoscere noi stessi. Niente è stabile, niente è
isolato, niente è autonomo e niente è conoscibile in se stesso.
Quindi, già l’atto di conoscere noi stessi o un altro, modifica, muta. Ma
questo, se da una parte è uno svantaggio, dall’altra ci dice che tutto è
modificabile.
Dunque, la nostra pretesa di cambiare le cose non è infondata. Ma un
conto è cambiare il soggetto e un conto è cambiare gli eventi.
Anche gli eventi, però, si modificano e si influenzano di continuo. Ma questo
avviene inconsciamente, senza che ce ne rendiamo conto: come farlo deliberatamente?
Se io voglio cambiare una situazione (di solito a mio vantaggio), mi do
da fare, lavoro, intervengo, prego, aspiro… Ma il guaio è che entra in gioco il
binomio vantaggio/svantaggio – e sono fregato. Operando a mio vantaggio, mi
procuro anche uno
svantaggio. E il maledetto ciclo va avanti da solo.
Il pensiero, come il sentimento, riflette e crea un mondo che è sempre
duale. E quindi mai in pace, mai stabile.
Possiamo influenzarlo? Sì, perché tutti influenzano tutto. Ma, per
farlo volontariamente, intenzionalmente, dobbiamo introdurre una forte
consapevolezza, che è un’energia trasformatrice.
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