Come si generano gli eventi? Ci sono cause ed effetti praticamente
infiniti come in un gigantesco tavolo di biliardo. Le palline si scontrano fra
di loro in una reazione a catena. Se siamo bravi a giocare, possiamo cercare di
indirizzare i nostri colpi; ma questo è possibile quando le palline sono poche.
Se sono infinite, chi è in grado di calcolare le possibili interazioni?
A livello sociale, se siamo potenti, per esempio capi di Stato o capi
di un’azienda, possiamo influire sulle vite di molte persone e quindi dirigiamo
certi eventi. Ma non su tutti e poco su noi stessi. Se siamo Napoleone o Cesare
possiamo prendere decisioni che faranno vivere o morire migliaia di persone,
possiamo scatenare guerre, possiamo promulgare leggi, possiamo conquistare
territori. Ma alla fine la storia ci dice che molte decisioni erano sbagliate o
che anche i grandi condottieri sono stati sconfitti da altri condottieri o
dalle malattie o dal destino. Nessuno controlla tutto e tutti.
Dunque, per quante cose si possano controllare, alla fine qualcosa ci
sfuggirà e noi perderemo il controllo. In Oriente, si dice che c’è un karma
individuale, provocato dalle nostre azioni precedenti, ma ci sono anche karma
collettivi, familiari, nazionali. Anche in Occidente, Jung parlava di un
inconscio personale e di uno collettivo. Quindi, tante cose ci sfuggono, non
sono controllabili.
L’inconscio è la naturale conseguenza del conscio, della coscienza. È
un’antinomia come le altre. Perciò l’uno comporta l’altro. Se c’è una
coscienza, c’è un inconscio. Il che è come dire che non possiamo controllare tutto,
per principio.
Delle antinomie, che sono migliaia, ci sfugge l’unità, ci
sfugge che sono aspetti contrastanti di uno stesso processo. Per esempio, della
respirazione capiamo che non può esserci un’espirazione senza un’inspirazione, e
che quindi i due poli sono indissolubilmente collegati, ma di tante altre
antinomie non capiamo l’unità. Per esempio, dell’antinomia amore/odio o
bene/male non afferriamo la comune origine, tanto che non abbiamo né il
concetto né la parola per esprimerla. Anzi, ci meravigliamo se qualcuno ci dice
che sono due aspetti dello stesso fenomeno. Solo l’intuizione può coglierla,
solo la consapevolezza può afferrarla.
Ma se coscio/inconscio e le altre polarità antinomiche sono collegate,
la loro unità che cos’è? Come posso esprimerla? E, soprattutto, come posso
modificarla?
Che cos’è questo ente che oscilla fra conscio e inconscio, fra essere e
non-essere?
Una simile oscillazione era prevedibile, perché anche noi siamo
processi come tutti gli altri. Niente è fisso, stabile. E anche noi oscilliamo
fra poli opposti. Se c’è il conscio, ci deve essere l’inconscio. Se c’è
l’essere, ci deve essere il non-essere. Se c’è l’ente, ci deve essere il
niente.
Ma i due poli, in questo caso, di quale fenomeno unitario sono
espressione? Come possiamo capirlo, definirlo, esprimerlo, intuirlo?
L’io è anche gli altri, d’accordo – interrelazione. Ma anche l’ente è
in sé un moto duale. Fra l’essere e il niente, fra il conscio e l’inconscio,
c’è un andirivieni, un’oscillazione, che individua per po’ l’ente. Una specie
di respirazione come quella delle maree, come quella del tempo, come quella del
giorno e della notte, come quella del bene e del male, come quella della pace e
della guerra…
Non abbiamo il concetto, non abbiamo la parola. Abbiamo solo l’intuizione
del processo, oltre che l’evidente oscillazione fra vita e morte o fra attrazione e repulsione.
Sappiamo che per un po’ esisteremo, poi rientreremo nell’utero cosmico…
e quindi riusciremo (riformattati), e così via . Dentro e fuori, dentro e
fuori…
Ne siamo coscienti, ma questa stessa coscienza respira, è la
respirazione cosmica. Dunque è proprio la coscienza che dà questa sensazione.
Senza coscienza potremmo vivere?
Potremmo vivere così come vivono tanti animali, limitandoci a provare e
a reagire alle percezioni. Questo già avviene. Ma non avremmo la sensazione di
essere, che è tipica della nostra coscienza.
Già nella psicologia orientale la coscienza è considerata il sesto
senso. Ossia è considerata una sensazione. Io so di esistere. Ma, mentre so di
esistere, so che sono in divenire, che sono immerso nello spazio-tempo, e che
dovrò morire.
Avere la coscienza di esistere è avere la coscienza di dover morire.
Purtroppo le due polarità vanno insieme. Gli animali che vivono solo le
sensazioni del presente non sanno di dover morire. Muoiono e basta.
L’oscillazione della coscienza deriva dal fatto che tutti i processi di
questo mondo sono dinamicamente duali.
Tuttavia, noi abbiamo anche l’intuizione che sono composti da qualcosa
che in origine era unitario. È questo quid unitario che si è diviso in due
movimenti. Se non ci fosse stata questa unità di base, le forze delle antinomie
non sarebbero due aspetti dello stesso fenomeno.
Questi due aspetti o moti sono uniti complementariamente per tutta la
loro vita – un po’ come l’entanglement delle particelle, che pur essendo divise
rimangono correlate, poiché lo stato quantico di una particella è intrinsecamente legato allo stato quantico di un'altra. In altri termini, le due forze di un’antinomia non possono
essere separate, ma rimangono indissolubilmente collegate. Un binomio
indissolubile di yang e yin. Né senza di te né con te: questo è il paradosso
della realtà, che assicura la correlazione ma mai l’unione completa. Se ci
fosse l’unione completa, entrambi si annichilerebbero.
Siamo degli equilibristi della realtà, bravi a
stare insieme ma non a fonderci. Non è questo l’atto d’amore, ossessivamente
ripetuto? Un tentativo di fusione per provare solo un attimo di realtà
veramente unitaria, un attimo di eternità, al di fuori del mondo duale e del
suo spazio-tempo.
Perché dobbiamo ammettere che riconoscendo la
nostra contingenza, aspiriamo inevitabilmente all’eternità. E, con ciò,
dobbiamo ammettere che l’eternità “esiste”. Se esiste la mortalità, deve “esistere”
l’immortalità, anche se non capiamo in che forma. Non è una fede, ma l’applicazione
della legge dei contrari antinomici.
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