L’errore è considerare Dio come una persona, distinta dal cosmo e da
noi. Tutte le persone, umane o divine, sono semplici maschere, apparizioni
soggette al tempo e allo spazio, nonché alla coscienza che le immagina e ne fa oggetti
di conoscenza. E sono destinate a sparire. Anche gli dei.
La verità-realtà non può essere un oggetto di conoscenza, ma in fondo
è la pura soggettività. È colui che cerca, non certo l’oggetto trovato.
Il divino è la pura soggettività, al di fuori dello spazio-tempo. Ed è
il nostro Sé.
Se proprio vogliamo conservare il concetto di Dio, dobbiamo
considerarlo non una persona, ma uno stato dell’essere.
E tuttavia la parola “essere” è sbagliata, perché Dio o il Sé sono al
di là dell’essere e del non essere, dell’esistere o del non esistere.
La verità-realtà non può essere detta e non ha bisogno neppure di
esistere o di essere.
Come possiamo allora concepirla?
Non lo possiamo. Tutt’al più possiamo indicarla con un gesto o con un
grido. Qualcosa al di fuori dei nostri concetti.
Siamo in una situazione paradossale: è come se un’ombra cercasse di
dimostrare la sostanza di cui è ombra.
Può solo dire: se io sono un’ombra, ci dev’essere qualcosa che mi
proietta.
Dal falso desumiamo il vero. Ma dobbiamo per questo riconoscere il
falso, riconoscere che siamo ombre e che viviamo in un mondo di ombre, di
apparizioni inconsistenti, di illusioni, di sogni.
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