Conoscere significa oggettivare, nel senso che la cosa conosciuta deve
diventare un oggetto di una conoscenza che ha determinate strutture: per
esempio, il dualismo dei concetti, una dialettica dei contrari e l’inserimento
in uno spazio-tempo. Questo significa che la nostra mente non conosce le cose
in sé, ma cose interpretate. La realtà – al di là di queste categorie - ci
sfugge sempre.
Il problema diventa ancora più evidente quando si tratta di conoscere
noi stessi.
Noi applichiamo a noi stessi le stesse categorie – quindi gli stessi
condizionamenti - che applichiamo a qualsiasi oggetto. Nemmeno il nostro
basilare senso di essere è esente da simili condizionamenti, perché l’essere è
già un concetto… cui si contrappone subito il suo contrario, il non essere.
Ma noi non siamo in effetti né lo stato di essere né nello stato di
non essere, ma un qualcosa che è sia l’uno sia l’altro o nessuno dei due, al di
là. È come vedere un film di una vita sapendo che la vita è un’altra cosa. La
realtà è imprendibile – possiamo viverla ma non… conoscerla.
Questo vale anche per la nostra identità. La siamo, la viviamo, ma non
la conosciamo. Ciò che conosciamo è un’interpretazione, un film… in sostanza
una falsificazione.
Ciò che pensiamo non è ciò che siamo.
Convenzionalmente, diciamo che la vita è ciò che va da una nascita a
una morte. Ma non sappiamo né ciò che c’era prima della nascita né che cosa ci
sarà dopo la morte. Ci immaginiamo solo film.
E questa vita è piena di forme, colori, movimenti, suoni, odori,
sapori, pensieri, atti di volizione, atti di coscienza, effetti speciali… un
film ancora più completo di quelli che vediamo al cinema – ma pur sempre un
film; nel senso che non appena si spegne il proiettore, scompare tutto in un
istante.
Il fatto è che ciò che viviamo
e ciò che siamo attualmente è sempre immerso in uno spazio-tempo. Mentre ciò
che siamo realmente ne è al di fuori.
Ciò che cerchiamo, la nostra identità, non può
essere un oggetto come gli altri, ma è proprio colui che cerca. Che non possiamo
cogliere ora perché siamo immersi nello spazio-tempo creato dalla coscienza. L’unico
indizio è il senso di presenza conscia, senza il quale non esisterebbe il
mondo.
Dunque la nostra ricerca deve arrivare a domandarsi
quale sia la sua origine. Quella noi
siamo, cioè la coscienza che cerca se stessa, fino ad arrivare alla
consapevolezza senza dualità, alla consapevolezza impersonale, non più legata a
un corpo.
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