Chissà chi siamo veramente? Il neonato che piange e dipende in tutto e
per tutto dai genitori, il bambino che si perde nei giochi, il ragazzo che va
malvolentieri o volentieri a scuola, l’adolescente che incomincia a sentire gli
impulsi sessuali, il giovane che cerca una compagna e deve trovare un lavoro,
l’uomo che passa gran parte della sua vita a lavorare e a sostenere una
famiglia, l’anziano che incomincia ad avvertire le ombre della sera, il vecchio
che deve combattere contro le malattie o quello che giace impotente in un letto
d’ospedale?
La nostra identità si modifica di continuo e di conseguenza i nostri
pensieri, le nostre convinzioni e i nostri sentimenti. Il senso dell’io o dell’
“io sono”, la nostra sensazione di essere, si colora di emozioni diverse nel
corso delle età, pur rimanendo
apparentemente sempre lo stesso, almeno finché scompare di fronte a qualche
malattia del cervello o alla morte. Fine della coscienza, con il suo mondo
duale, fatto di contrasti e di separazioni.
Che cosa rimane, allora, della nostra identità?
Dovremmo dire che non è più nella dimensione dell’esistere e neppure
dell’essere. Non è più. Senza coscienza, non esistono né il mondo, né l’io, né
dio. E a noi che cosa succede?
Qualcuno parla di un’anima immortale, di un corpo sottile o di un dio
che ci salva dalla scomparsa definitiva, non si sa come. Ma nessuno ha mai
visto una coscienza sopravvivere senza un corpo.
La nostra mente si chiede angosciata che cosa rimanga e se qualcosa
rimanga. Ma l’enigma si risolve proprio con la scomparsa della mente e delle
sue domande, perché ciò che cerchiamo è proprio ciò che cerca.
In sostanza, con la morte scompare ogni concetto, ogni fantasia, ogni
senso di esistere in modo separato, ogni coscienza.
Evidentemente, quella coscienza non era reale. Ma una specie di sogno
ad occhi aperti.
Allora ci risveglieremo e scopriremo che non abbiamo bisogno di
esistere… per “essere”.
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