Chi è
convinto e fa credere di parlare in nome di Dio, si predispone inevitabilmente a
commettere abusi di potere, di ogni genere.
sabato 5 settembre 2015
venerdì 4 settembre 2015
Spotlight
Il Papa che entra da solo in
un negozio per farsi cambiare le lenti degli occhiali… quanto è semplice e
buono!
Ma perché nasconde in
vaticano il vescovo americano che ha protetto i preti pedofili di Boston e
dintorni (250 preti coinvolti, oltre mille vittime)?
Dice un ragazzino: “Avevo solo dodici anni e, quando il prete mi diceva di
fare certe cose, pensavo che fosse Dio a dirmi di farle: come si fa a dire di
no a Dio?”
L’abuso di
potere, in ogni senso, è proprio nel DNA della Chiesa.
Chi copre un abuso è complice di quell'abuso.
Chi copre un abuso è complice di quell'abuso.
Vedere i nostri difetti
Se, guardandoci allo specchio,
notiamo una macchia o un difetto in qualche parte del corpo, immediatamente
corriamo ai ripari e cerchiamo di eliminarlo o nasconderlo.
Ma lo stesso non facciamo
con le nostre macchie interiori. Poiché gli altri non le vedono, non ce ne
curiamo.
In realtà, prima o poi, gli
altri e noi stessi dovremo fare i conti con quei difetti, che verranno
sperimentati come problemi o ostacoli.
Purtroppo non esiste uno
specchio dell’anima, qualcosa su cui vedere i nostri difetti. Non c’è che
l’autoanalisi, l’auto-osservazione. Cosa che molti non vogliono fare, perché
non vogliono vedersi e non sanno come cambiare.
Ma l’introspezione ripetuta,
pur portando a scoperte che possono essere umilianti, pur distruggendo
l’immagine ideale che abbiamo di noi stessi, ha già un potere risanatore.
Più ci vedremo e più ci
comprenderemo, più otterremo la determinazione (la necessità) di eliminare quel
difetto.
Di solito pensiamo che il
mondo sia sbagliato perché non si conforma ai nostri desideri. Ma, per
cambiarlo, dobbiamo iniziare a cambiare noi stessi.
Alla base di questo
meccanismo virtuoso, non c’è che la presa di coscienza. Altrimenti,
continueremo ad avere gli stessi difetti e a ripetere gli stessi errori.
giovedì 3 settembre 2015
Visione profonda
Ci stiamo abituando al multitasking, cioè a fare tante cose
nello stesso tempo. Ci sembra un comportamento moderno e produttivo.
In realtà è antico e
dispersivo. Anche senza altre distrazioni, c’è il cinematografo della nostra
mente che proietta continuamente film diversi da quelli che viviamo.
È un comportamento
dispersivo perché non approfondisce niente. E così viviamo alla superficie
delle cose, di noi stessi e del mondo. Viviamo esistenze superficiali.
In meditazione facciamo il
contrario. Concentriamo l’attenzione su un unico punto e vi impegniamo tutta la
nostra energia.
Solo così raggiungiamo una
visione profonda. È come avere un microscopio. Solo con il microscopio possiamo
vedere le vite che si agitano in una goccia d’acqua.
Ogni istante di
consapevolezza è un grande dono. Se mi siedo in silenzio in un ambiente
tranquillo e metto da parte le tante distrazioni, non solo vedo meglio le cose
e me stesso (“chiara visione”), ma raggiungo uno stato di pace che non posso
ottenere in altro modo.
Concentrarsi è pace, disperdersi
è stress.
È quando metto a fuoco il
momento presente e sono acutamente consapevole di questo attimo prezioso che
sono più autenticamente umano.
C’è coscienza e coscienza; c’è
vita e vita; c’è attimo e attimo. Un conto è un attimo pieno di fretta, di
ansia, di avidità e di illusione e un altro conto è un attimo consustanziato di
calma e di consapevolezza.
L'età delle religioni barbariche
Quando finirà l’epoca di
Dio, del “Signore”, del Padrone del mondo, che fa e disfa a suo piacimento.
Forse sta già finendo nelle coscienze umane. Anche perché questa fede, essendo
un’illusione, non ha mai risolto nulla e non ha neppure migliorato il mondo.
… L’epoca delle religioni
che fanno all’appello all’Autorità esterna senza rendersi conto che è solo una
proiezione delle autorità del mondo.
L’epoca delle religioni che,
dopo aver posto l’Ingiustizia a fondamento del mondo, pretendono di salvarlo
facendo un po’ di bene spicciolo.
Come certi padri tirannici
che impongono ai figli la loro legge in cambio del mantenimento. “Io ti
mantengo, ma tu devi fare tutto quello che voglio io.”
Le vere spiritualità sono
quelle che promuovono l’autonomia dell’individuo, non quelle che vogliono
sottometterlo; quelle che ti insegnano non a chiedere supplice un pesce da
mangiare – ma a pescare con le tue mani.
mercoledì 2 settembre 2015
La nascita delle coscienza
Il modello religioso
sostiene che è Dio a infondere la coscienza nell’uomo. Il modello scientifico
ci dice che prima nasce il cervello e, poi, attraverso una complessità
crescente si crea un sistema neurale che alla fine dà origine alla coscienza.
La verità è che la coscienza
è presente già in ogni forma di vita: è presente nella pianta (che non ha
cervello) e, ancora prima, negli atomi e nelle particelle.
Dove c’è vita, non può non
esserci coscienza.
La coscienza è una “sostanza”
già presente nella materia più elementare.
Spetta all’uomo svilupparla
ulteriormente attraverso la presenza mentale e l’auto-consapevolezza. A questo
servono le tecniche meditative.
E, difatti, non tutti hanno
lo stesso livello di coscienza. E c’è chi, come i preti, lavora per soffocare
ogni coscienza individuale e per imporre la propria mortifera visione del mondo.
Il lavaggio della coscienza
Non c’è solo il lavaggio del
cervello: c’è anche il lavaggio della coscienza.
Già nell’antichità le caste
sacerdotali si attribuivano il potere di fare da mediatrici tra l’uomo e Dio. I
brahmani dell’India antica, per esempio, sostenevano che erano i loro rituali a
far avere benefici agli uomini e ad influenzare gli stessi dei. Un comodo
sistema per avere potere nella società.
Ma ancora oggi è così, in
una maniera o nell’altra. I preti cattolici credono addirittura di poter
rimettere i peccati degli uomini. Dietro congruo compenso, fanno il lavaggio
della coscienza.
Potrete sempre trovare un
prete o un gesuita che vi assolve perché avete rubato il denaro pubblico o
perché avete ucciso qualcuno. Basta che mostriate un po’ di pentimento.
Un uomo che toglie i peccati
ad un altro... Ma chi toglierà ai sacerdoti questo loro peccato? Chi rimedierà
al fatto che hanno allevato uomini senza coscienza?
I presuntuosi
Il Papa concede anche ai
preti comuni la facoltà di assolvere per l’aborto.
Ma siamo sicuri che una
persona abbia il potere di assolverne un’altra?
E non è questa la grande
presunzione, il grande peccato, della Chiesa? Uomini che pretenderebbero di
avere un potere divino. Lo dicevano già gli avversari di Gesù: “Tu che sei
uomo, ti fai Dio” (Gv 10, 33).
Questo lavaggio della
coscienza impedisce ai cattolici di sviluppare una propria coscienza personale.
Abbiamo così ladri e assassini che, solo perché sono stati assolti da qualche
prete, si sentono liberati della propria colpa.
Non è questa l’origine della
corruzione nei paesi cattolici? Uomini senza coscienza.
martedì 1 settembre 2015
Il boss divino
Gli uomini, abituati ad
avere sempre un padrone, un capo o un boss che li comanda, non immaginano che
questa organizzazione sociale è proprio il portato della loro fede in un Dio
padrone, capo e boss.
Panteismo
Giudaismo, cristianesimo e
islam nascono da una stessa concezione di Dio. Dio è l’essere assoluto che crea
il mondo, è un potere di tipo maschile che deve dominare la donna, gli animali
e il mondo, ed è posto là… di fronte all’uomo. Anche se l’uomo è una sua
creatura, una specie di figlio, Dio resta separato e se stesso: è il Padre
eterno. Il divario fra Dio e l’uomo resta dunque incolmabile.
Anche se Dio è
inconoscibile, non resta nascosto, ma si presenta e si rivela all’uomo. Manda
propri emissari, vuole fondare una religione, protegge chi crede in lui,
combatte chi non gli crede, dà ordini e comandamenti, suggerisce, ispira,
interviene…
Non solo è il Padre, ma è
anche il Giudice, colui che ci valuterà e ci soppeserà una volta morti. Non c’è
scelta: o l’uomo si conformerà e ubbidirà a lui, o verrà annientato.
C’è un’altra concezione di
Dio?
Sì, che Dio non sia un
essere separato e a se stante, ma che sia in tutto, tutto.
“Panteismo” è una bellissima
parola, anche se è detestata dai teisti. Significa che tutto è Dio, o, meglio,
che tutto è composto di un’unica sostanza divina. Dio è la cellula, la pietra,
l’atomo, la pianta, l’animale, l’uomo, la coscienza. Nessuno nel cosmo ha una
posizione privilegiata, ma tutti fanno parte di un’unica e immensa rete.
In questa rete non c’è chi
comanda e chi giudica, perché tutti sono responsabili per la loro parte e
indirizzano le cose in un senso o nell’altro, premiandosi o punendosi da soli –
e premiando o punendo il tutto.
Dio è la totalità, ma una
totalità che non può esistere senza le parti.
Nella vita, nella sostanza
divina, è già compresa l’informazione, la coscienza, la consapevolezza, la testimonianza.
Non c’è separazione fra materia e spirito.
Per i teisti, invece, tutto
questo è dato da un Dio che resta distinto. Loro esaltano la separazione.
Il panteismo esalta l’unione.
Per trovare Dio non dovete pregare una divinità esteriore, ma immedesimarvi nella vostra stessa essenza divina.
Per trovare Dio non dovete pregare una divinità esteriore, ma immedesimarvi nella vostra stessa essenza divina.
Le fiamme della mente
Volete sapere perché il
mondo si surriscalda?
Non troverete una
spiegazione nella Bibbia, nei Vangeli o nel Corano, ma nei discorsi del Buddha,
un uomo che vide molto più lontano di tutti. Leggete cosa disse:
“Tutto brucia! E di che cosa
brucia? Brucia dei fuochi dell’avidità, dell’odio e dell’illusione (Samyutta Nikaya 35,28).”
In sostanza è l’animo
dell’uomo che brucia, infiammato com’è dal desiderio di ottenere sempre di più,
dal non riuscire a capire l’interdipendenza di tutte le cose e dalle infinite
illusioni del pensiero mitologico e dualistico. Spinto da questi impulsi,
l’uomo è portato a muoversi sempre di più, a produrre sempre di più, a
riprodursi sempre di più, a conquistare sempre di più, a sognare sempre di
più.. senza nessun senso del limiti e della realtà.
Ecco perché il mondo,
popolato dall’uomo, non può che surriscaldarsi.
C’è un unico modo per
frenare questa corsa all’accumulo insensato e suicida. Controllare la mente,
calmare la mente, rinfrescare la mente.
Questo vale sia nella vita
individuale sia nella vita del genere umano.
Sappiatevi regolare. Non c'è bisogno di aspettare il giudizio universale per bruciare nel fuoco dell'inferno. L'inferno, come anche il paradiso, sono già qui.
L'altro volto di Gesù
Non possiamo non dirci
cristiani? Se il cristianesimo è la religione dell’amore, come possiamo
avversarlo?
Perché ha anche un altro
volto, un volto sgradevole e negativo.
Prendiamo la parabola del
convito in Luca 14. Qui c’è un “padrone di casa” che organizza una cena e
dirama gli inviti. Ma tutti si scusano e rispondono che non ci andranno. Come
mai? Evidentemente il tizio non era simpatico, non piaceva, non era un tipo
cordiale, aveva un brutto carattere, voleva spadroneggiare e imporre a tutti la
sua volontà.
In effetti, l’uomo mostra
subito il suo carattere e, “irritato” manda il suo servo a prendere per le
piazze e per le vie tutti i poveracci che avrebbe trovato. Il servo esegue
l’ordine e dice: “Ho fatto come mi hai detto, ma c’è ancora posto”. Allora il
“padrone” ordina: “Esci per le strade e lungo le siepi, e spingili a entrare (compelle intrare, in latino), perché la
mia casa si riempia. Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati
assaggerà la mia cena!”
Che dire? Si conferma che
aveva un brutto carattere, che era collerico, che non accettava rifiuti e che
era disposto a usare la forza per avere commensali alla sua cena. Si conferma
che era un tiranno, una specie di boss, che voleva imporre a qualunque costo la
sua volontà.
Nella versione di Matteo 22,
l’energumeno è ancora più antipatico e violento: è un re che organizza un
banchetto di nozze per suo figlio. Anche qui invia i suoi servi a convocare
invitati, ma nessuno vuol andare. Non sia mai detto! Il despota s’arrabbia e
manda per la seconda volta i suoi servi a trovare commensali. Anche questa
volta la gente non vuole accettare e qualcuno insulta i servi e ne uccide
qualcuno.
Allora il re si indigna e,
mandate le sue truppe, uccide quegli assassini e dà alle fiamme la loro città.”
A questo punto, invia i suoi servi ai “crocicchi delle strade” a raccogliere un
po’ di gente, buoni e cattivi. Ma, entrato nella sala delle nozze, si accorge
che “un tale non indossava l’abito nuziale.” Non sia mai detto! Monta su tutte
le furie, insulta il poveretto e ordina ai suoi giannizzeri: “Legatelo mani e
piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti!”
Insomma, si capisce perché
la gente non volesse accettare gli inviti di un despota del genere. Lo
conosceva e sapeva che era un brutto tipo, pronto a violentare chiunque gli si
opponesse.
Voi accettereste un invito
del genere? E, anche se ci andaste, lo fareste con un animo amichevole,
cordiale e ben disposto?
Questo è l’altro volto di
Gesù, l’altro volto del Dio di Gesù. Un dittatore, un tiranno, un
prevaricatore, un prepotente.
In sostanza, non ammette
rifiuti.
Dove sono l’amore e la
misericordia? Dov’è il rispetto per le opinioni, per le volontà e per i diritti
degli altri?
Questo è l’altro aspetto del
cristianesimo che si è palesato in tutta la sua storia. Una religione
dominatrice e prevaricatrice che vuole ridurre tutti in suo potere, che non
ammette dissensi o critiche, che è pronta a distruggere chiunque la pensi diversamente.
Non molto dissimile da quella dei fanatici attuali dell’Islam.
lunedì 31 agosto 2015
Italia clericale
Si sa che in Italia non c’è
nessun rispetto per chi la pensa diversamente dall’opinione dominante, per chi
ha una fede diversa, per chi non si adegua al conformismo generale.
In campo religioso, lo
spettacolo è vergognoso. Il sindaco di Bisceglie affida le chiavi della sua
città ai santi patroni affinché convertano gli atei. Il sindaco di Rossano in
Calabria vuole organizzare un processione per ringraziare Dio del fatto che la
recente alluvione ha sì provocato danni per milioni ma non ha fatto vittime. La
Regione Veneto stanzia quasi tre milioni di euro per i “cammini di fede” antoniniani.
La regione Lombardia finanzia le scuole cattoliche e gli oratori. E così via.
Insomma, l’Italia clericale
vuole convertire a forza tutti quanti, vuole con tutti i mezzi costringere i
laici o i non credenti a farsi cattolici; e odia chi resiste. È un
atteggiamento di violenza psicologica che ha una lunga tradizione: risale addirittura
ai Vangeli, dove Gesù, nella parabola del convito (Luca 14,23), fa dire al “padrone
di casa”: “Spingili a entrare (compelle intrare,
in latino); frase che indusse sant’Agostino a sostenere che si poteva usare la
forza per costringere la gente all’ortodossia.
Una delle tante eredità
velenose del cristianesimo, che ancora oggi fa i suoi danni e produce il tipico
autoritarismo dei fedeli che non distinguono tra laicismo e religione, fra
Stato e Chiesa. I messaggi evangelici non sono solo inviti all’amore, ma anche
alla discriminazione e talora alla persecuzione. Si vuole che tutti la pensino
allo stesso modo e abbraccino le stesse credenze religiose. Si crede che le
altre religioni o anche solo i dubbi o l’agnosticismo siano opera del Diavolo.
Non si vuole che la gente pensi con la propria testa.
Ora, il bigottismo denota
non solo ristrettezza mentale, ma anche avversione, odio e violenza.
Spirito e materia
Spirito o materia? Corpo e
anima? Quante vecchie idee!
È la nostra mente che, per
conoscere, distingue, isola e contrappone.
Scommettiamo che la “materia
oscura” che gli scienziati cercano vanamente è costituita da “particelle” la
cui fisionomia dipende dalla nostra coscienza? Perché c’è un punto in cui gli
opposti si co-appartengono.
La luce della consapevolezza
Se hai un problema, senza
conoscerne la causa, e ti limiti a pregare Dio, non otterrai nulla. Se invece
ti applichi prima alla consapevolezza, avrai chiaro che cosa ti succede e
perché.
Questo gettare luce sugli
angoli bui è già parte della soluzione. Anche perché comporta la possibilità di
cambiare profondamente.
La preghiera, invece, ti
lascia ignorante.
Co-appartenenza
Il mondo cambia senza che noi,
apparentemente, possiamo farci nulla; e quindi siamo costretti ad adattarci. È anche
per questo che sono necessarie le tecniche di conoscenza e di sviluppo di sé:
non potendo cambiare le cose, cerchiamo di cambiare noi stessi.
Ma la realtà è più complessa
e i rapporti fra gli individui e l’ambiente sono continui. L’ambiente cambia e
perciò noi cambiamo. E poiché cambiamo, anche l’ambiente cambia. Un esempio è
il clima. Il riscaldamento attuale non è un capriccio del destino, ma una
conseguenza delle nostre attività e del nostro tasso di riproduzione.
Allora, è nato prima l’uovo
o la gallina? O sono nati insieme? E l’uno è in funzione dell’altro?
Le cose sono tutte
interdipendenti, e non esistono separatamente.
domenica 30 agosto 2015
Al centro dell'universo
Un tempo credevamo di essere
al centro dell’universo e che tutto girasse intorno alla Terra. Poi venne la
rivoluzione copernicana a dirci che eravamo soltanto un minuscolo punto di un
cosmo immenso.
Ma la verità è che noi non
possiamo non essere al centro dell’universo, perché l’universo non è che una
nostra visione.
Possiamo avere una visione oggettiva del cosmo? No, la nostra
visione è sempre soggettiva, per definizione.
Ovviamente, il necessario
osservatore – quello per cui esiste l’universo – non è il nostro piccolo io, ma
è dappertutto. È l’io universale che osserva se stesso riflesso in ogni forma
di vita.
Comunque, essere consapevoli
è la funzione indispensabile a far essere l’universo. Senza l’osservatore, esso
non esisterebbe. Ma dov’è il centro?
Nicolò Cusano sosteneva che
Dio è un cerchio il cui centro è dappertutto e la cui circonferenza non è da
nessuna parte. Se alla parola “Dio” sostituiamo la parola “Testimone”, la frase
è sempre valida.
sabato 29 agosto 2015
L'idea di Dio
Come si arriva a concepire
il divino, Dio, il sacro o la trascendenza? I più ci arrivano attraverso l’indottrinamento
delle religioni, che si preoccupano moltissimo di diffondere l’insegnamento
religioso fin dai primi anni di vita. È una forma di pesante condizionamento.
Al punto che qualcuno arriva a credere che Dio sia un essere onnipotente e
onnisciente che ci ama incondizionatamente (al contrario dell’evidenza) o che
sia un severo giudice che può punirci in modo orribile.
L’ambivalenza della mente
umana si proietta in realtà su tutto ciò che pensa, compreso Dio.
Esiste però un altro modo di
avvicinarsi alla spiritualità: non i testi sacri e gli insegnamenti religiosi,
ma l’introspezione, il guardarsi dentro.
Mentre il primo è fideistico
e dogmatico, il secondo si basa sull’esperienza vissuta. C’è una bella
differenza. Un conto è accettare dottrine prive di qualsiasi dimostrazione e un
altro conto è la comprensione personale.
Un’introspezione seria e
coraggiosa è in grado di vedere i difetti del mondo e della coscienza. È in grado
di capire la condizione umana e può portare alla trasformazione della mente
grazie alla saggezza, grazie alla visione equanime della realtà.
Ciò che noi pensiamo del
mondo o di Dio è sempre un costrutto umano. Tanto vale, dunque, dirigere noi
stessi il processo di conoscenza, che può diventare un processo di liberazione.
Il cielo stellato sopra di noi
Scienziati e filosofi, non
diversamente dagli uomini comuni, di fronte allo spettacolo della volta
celeste, esprimono la loro ammirazione e concludono che tutto questo deve
essere il parto di una Mente supremamente intelligente.
Ma, quando si guarda meglio,
si incominciano a vedere i difetti. Troppe cose non funzionano o risultano
fatte male. Milioni o miliardi di pianeti troppo caldi o troppo freddi, scontri
galattici, esplosioni stellari, mondi enormi in cui non c’è nemmeno un microbo,
eventi apocalittici di ogni genere; e, all’interno della Terra, malattie di
ogni genere e leggi di sopravvivenza di un ferocia incredibile, sancite dal
fatto che ogni vita deve nutrirsi di altre vite.
Insomma, il presunto autore
di tutto ciò, sarà anche una brillante mente scientifica, ma lascia molto a
desiderare sul piano della moralità e della compassione – tutto il contrario di
quel che ci dicono le religioni. Osservando obiettivamente il creato, la Mente
creatrice appare pesantemente limitata, per non dire poco evoluta. Un gigante
che, come si muove, travolge tutto intorno a sé.
Ecco perché la Mente creatrice
sembra più simile a quella di un apprendista stregone che non ha ancora
perfezionato la sua tecnica – per certi versi è una mente molto più simile a quella
umana di quanto possa sembrare, forse la stessa.
Di fronte a questo spettacolo,
meraviglioso ma terribile, la meditazione serve a contemplare il cosmo
obiettivamente, senza cadere né nell’esaltazione né nello sconforto.
Si contempla con distacco,
con obiettività, con equanimità, senza farsi prendere né dall’entusiasmo né
dall’angoscia.
Tutto sommato, la coscienza che
contempla sembra essere la stessa che crea. Ecco perché c’è una speranza.
C’è la speranza che la
coscienza che contempla possa migliorarsi e dare un contributo alla coscienza
cosmica.
venerdì 28 agosto 2015
Razionalità e intuizione
Un lettore mi scrive:
«Mi trovo assolutamente d'accordo con la sua distinzione
tra:
·
meditazione in senso
stretto (lo stare seduti e concentrarsi ecc.)
·
meditazione discorsiva
analitica.
Nella pratica meditativa dobbiamo alternare le due tecniche
per poi tornare sempre alla “sintesi”, alla visione di insieme che è esperibile
nella meditazione “classica”.
Non di meno, trovo che sia sempre di più importante,
rimarcare l'importanza e la necessità della seconda fase, cioè quella
caratterizzata da un'analisi razionale discorsiva dei problemi che
caratterizzano la nostra esistenza quotidiana.
Perchè dico questo?
Perché mi capita di osservare questo strano fenomeno (mi
dirà se è d'accordo).
Ormai la meditazione sta entrando a far
parte, anno dopo anno, del vissuto dell'uomo occidentale. Pubblicazioni, siti
web, articoli, inchieste scientifiche. Ormai le tecniche orientali stanno
diventando una moda. Tutto ciò è un fenomeno comprensibile. E' noto che le
religioni tradizionali non offrono risposte ma solo dogmatismi; inoltre, per
chi è dotato di un grado sufficiente di onestà spirituale, è evidente che
l'aderire ad un “pacchetto di verità rivelate” non assicura il miglioramento di
sé.
Le religioni istituzionali forniscono una visione del
mondo, ma sono carenti riguardo a quel lavoro su di sé, che dovrebbe essere
l'autentico cuore di una pratica spirituale.
Un tempo forse, non era così. La letteratura cristiana, è
noto, era foriera di esercizi spirituali (si pensi ad Ignazio di Loyola) ma
nella cultura cristiana moderna tutto ciò è scomparso.
Cosa è rimasto? Cosa rimane in mano al fedele per
affrontare il peso schiacciante della quotidianità? Lo sappiamo: il potere
rassicurante della superstizione.
E la superstizione comincia laddove finisce l'onestà
spirituale. Ci si affida ad un qualcosa, sia esso un miracolo, o la grazia
divina, o un preteso potere taumaturgico e onni-risolutivo della preghiera...
Perchè faccio questa analisi che le risulterà ovvia?
Perchè volevo riflettere su quella che è, a mio parere, una
tendenza, emergente nel vasto mondo delle pratiche meditative, del tutto simile
a quella descritta relativamente alle religioni istituzionali.
Mi sembra che l'adesione sempre più massiccia delle persone
alla meditazione, stia ricalcando gli aspetti più deleteri e bigotti tipici
delle religioni rivelate.
In sostanza, ho l'impressione che la gente si affidi agli
esercizi meditativi con la stessa fiducia cieca e incosciente con cui ci si
affida ad una statuetta della madonna di Medjugorie.
Basta contare i respiri... tre volte al giorno, prima e
dopo i pasti.. ormai i studi lo dimostrano, ...ripetete questo mantra ecc ecc.
Nella digestione che la civiltà occidentale sta operando
del fenomeno “dhyana”, si vedono due eccessi opposti, ascrivibili a due tipi di
personalità umane (che io chiamerò il “devoto” e l'”a-metafisico”):
·
il devoto: chi si
accosta alla meditazione, sposando in toto aspetti delle culture orientali che
non gli appartengono e che probabilmente sono talmente vetusti da non
appartenere neanche alle culture orientali odierne. (abiti cerimoniali,
posizioni meditative impossibili, rituali discutibili, dogmi metafisici astrusi
e inaccettabili, ecc.).
·
L'a-metafisico: chi si
accosta alla meditazione, allontanandosi da qualunque presupposto filosofico,
anche il più generico. Tali persone ostentano un totale a-metafisicismo, come
se lo sperimentare il dhyana, fosse una vuota tecnica fine a se stessa; come se
il ripercorrere gli stati meditativi non comportasse (almeno per sommi capi!)
riflettere sugli aspetti essenziali di una certa visione metafisica del mondo.
(l'impermanenza delle cose, ad esempio).
Manca in quei due eccessi, a mio parere, quella seconda
parte del lavoro su se stessi, non meno importante, anzi necessaria, che lei
giustamente definisce “meditazione discorsiva”.
Senza quella seconda fase, a mio parere, la meditazione
diventa un mero esercizietto rassicurante, una moda new-age e nulla più. Una
moderna superstizione.
Questo è abbastanza ovvio per il “devoto” che, dopo aver
abbandonato il cristianesimo si converte agli aspetti esteriori del buddhismo.
Ma anche per l'a-metafisico che rifiuta ogni coinvolgimento filosofico.
Costui dirà... ma quali discorsi filosofici inutili, …,
l'impermanenza dell'io, l'atman ...tutte baggianate... il fatto importante è
che la meditazione funziona!, provate!.
Certo, funziona. E la stessa identica cosa, la sento dire,
giornalmente, agli speaker di Radio Maria, quando invitano i fedeli
radio-ascoltatori, alla pratica quotidiana del santo rosario. Non nutro dubbi
sul fatto che, anche il rosario funzioni: un credente quando prega con
devozione , riceve un forte sostegno psicologico da tale pratica quotidiana
calmante e rassicurante (un mantra cristiano) .
E allora? Allora si è ritornati a ciò da cui si credeva di
esser fuggiti.
L'abbiamo visto, perfino la seconda tendenza,
l'a-metafisico radicale, colui che non vuole neanche sentir parlare di nessun
presupposto filosofico, perfino lui, cade nella superstizione.
La meditazione, in queste persone, è ridotta a mero
esercizio tecnico... automatico! La liberazione è un automatismo da conseguirsi
con la pratica costante, esattamente come un esercizio fisico e nulla più.
Personalmente, sono approdato alla
meditazione (che per anni ho tenuto lontana, forte di un pregiudizio che me la
faceva sembrare una moda esotica new-age) dopo un lungo studio dell'etica
stoica (sopratutto Epitteto). Arrivato ad un certo punto, dopo tanto meditare
filosofico, mi è sembrato quasi naturale tentare “qualcosa” che avrebbe dovuto
dare concretezza tangibile agli esercizi spirituali degli stoici.
Infatti l'etica neo-stoica afferma (Epitteto, Manuale, I)
che è in nostro potere l'opinione sugli eventi.
Più prudentemente, sarebbe stato meglio affermare che, potenzialmente,
siamo in grado di fare un “passo indietro” di fronte agli eventi, riuscendo
così a vederli nella loro nudità, senza costruzioni mentali. Tale capacità, lo
sappiamo, nella vita di tutti i giorni, spesso viene meno. E' una potenzialità
da far crescere.
Arrivo, alla fine della mia lunga riflessione, ad esporre
la mia tesi.
La meditazione (orientale) è il necessario
complemento della riflessione discorsivo-filosofica:
se così non fosse, tale riflessione filosofica rimarrebbe
uno sterile discorso intellettuale. Allo stesso modo la riflessione filosofica,
è il complemento necessario della meditazione orientale. Se infatti la
meditazione rappresenta un ritorno alla sintesi, alla visione d’insieme, al
senso generale dell’essere presenti, alla consapevolezza di sé, ad esperire
l’unità del tutto, è anche vero che tale sintesi (caratterizzata
dall'assenza di sovrastrutture mentali) è preceduta da un lungo e attento
lavoro di de-costruzione analitica: quello operato dalla riflessione
filosofica.
Si esperisce l'Uno, non solo nello sguardo sintetico della
meditazione, ma, lo si esperisce (seppur in altra forma) anche nella
razionalità logica che, non è un caso, è condivisa da tutti gli esseri
senzienti.
Allo stesso modo, non mi sembra un caso il fatto che lei
giustamente sottolinei come l'illuminazione non sia improvvisa ma un processo
in continuo divenire: quello attuato dalla cooperazione continua di quelle due
modalità, meditazione e riflessione.
Se manca la prima, cadiamo in un vuoto intellettualismo. Se
manca la seconda cadiamo in nuove forme di fideismo superstizioso.
Ecco ho finito. Dietro i nostri pensieri confusi c'è un io
assoluto, una presenza, quel testimone che cerchiamo di far emergere nella
nostra pratica di meditazione; parimenti, ad interconnettere i nostri pensieri
c'è un logos, una razionalità, quella condivisa da tutti, non per questo meno
importante, perché è una diversa forma di percepire l'Uno.»
In linea di massima
mi trovo d’accordo con le opinioni del lettore. Non possiamo certo rinunciare
alla nostra cultura filosofica, psicologica e religiosa (nonché a quella
dell’Oriente, che è altrettanto vasta). Giustamente viene citato lo stoicismo,
ma si potrebbe aggiungere Plotino, il neoplatonismo e molti altri filosofi; e
inoltre gran parte del misticismo e della contemplazione apofatica del
cristianesimo e di altre religioni.
In
sostanza, più si conosce, meglio è; più la nostra cultura riesce ad abbracciare
le culture del mondo, più questo ci aiuterà a praticare la meditazione e a
capirne il senso, evitando forme di semplice devozionismo o di indottrinamento
da parte di qualche guru, orientale o occidentale.
Ma
dobbiamo precisare che non è semplice conoscenza intellettuale, perché utilizza
una modalità esperienziale. La conoscenza discorsiva serve ad avvicinarsi alla
meta e ad escludere le vie sbagliate; e serve comprendere più a fondo l’esperienza
del risveglio. Ed è vero che una modalità non può fare a meno dell’altra.
Analisi e sintesi devono continuamente alternarsi. Tuttavia capire
intellettualmente l’unità delle cose non è farne esperienza. Così come capire e
ragionare sull’amore aiuta a intuire qualcosa, ma non può sostituirsi al farne
esperienza.
giovedì 27 agosto 2015
Le due meditazioni
Con il termine “meditazione”
possiamo intendere due processi diversi ma complementari.
Il primo consiste nel
diventare consapevoli di come siamo fatti, dei nostri principali stati d’animo,
dei nostri schemi di comportamento, delle nostre reazioni abituali, e così via.
Si tratta in sostanza di un’attività di conoscenza e di osservazione di sé, di
tipo spesso analitico, che porta a migliorare se stessi e dunque alla saggezza.
Il secondo consiste nella
ricerca di un’esperienza speciale, quella che chiamiamo illuminazione,
liberazione o risveglio.
I due processi meditativi
sono complementari primo perché non basta un’esperienza di illuminazione per
conoscere se stessi in modo analitico, per conoscere i propri difetti e i
propri pregi, per sapere quali sono i propri limiti, e secondo perché non basta
conoscere bene se stessi per risvegliarsi da tante illusioni, dal sogno stesso
della vita.
L'identità perduta
Quando il Buddha dice che le
cose non hanno un’esistenza intrinseca, perché sono tutte interdipendenti, vuol
dire che le cose non sono enti, ma processi.
Noi invece crediamo che le
cose siano entità divise, separate e indipendenti. Tante piccole monadi, l’una
separata dall’altra. E, invece, più scaviamo, più l’identità di questi presunti
enti ci sfugge. Il nostro stesso io, che sembra avere una precisa identità, è
composto da tante identità diverse che s’intrecciano e si alternano, talora in
disaccordo tra loro.
Ma questa mancanza
(“vacuità”) di un nucleo separato e autonomo non è una minorazione. Al
contrario, è proprio il motivo per cui ogni cosa può connettersi con le altre
ed essere (inter-essere) con il tutto.
Se fossimo veri enti, se
avessimo identità rocciose e definite una volta per tutte, nessuna potrebbe
comunicare con le altre e il mondo sarebbe paralizzato, incapace di cambiare e
di evolversi.
Il successo
Tutti aspirano al successo.
Ma chi è un uomo di successo? Un cantante, un calciatore, un attore, un
musicista, uno scienziato, un imprenditore, uno scrittore famoso, il Papa..?
Potrebbe essere. Noi però
non sappiamo che cosa ci sia dentro queste persone: vediamo solo il successo
esterno, il denaro, la notorietà, i riconoscimenti pubblici, le attività… ma
non sappiamo assolutamente se siano felici. Di solito, già svolgere un lavoro
che piace è già un buon punto di partenza. Ma esiste anche il lato affettivo,
di cui non sappiamo niente. E non sappiamo niente del dolore fondamentale di
ciascuno.
Ognuno deve sì realizzare se
stesso, è vero. Però, come uomo completo.
Albert Einstein diceva: “Non
cercare di essere un uomo di successo. Cerca piuttosto di essere un uomo di
valore”.
mercoledì 26 agosto 2015
Il rancore
Non dobbiamo provare
rancore, odio o desiderio di vendetta nei confronti degli altri, non per fare
un piacere a Dio, ma perché le prime vittime siamo noi.
Quando proviamo rancore,
siamo noi che soffriamo.
E allora?
Dobbiamo dimenticare,
dobbiamo perdonare, dobbiamo accettare il torto e l’ingiustizia?
No, siamo semplicemente
consapevoli che ci stiamo facendo del male. E domandiamoci se ne valga la pena.
Qualche volta è necessario,
come quando ci dobbiamo amputare un arto per evitare una cancrena. Ma molto
spesso non ne vale la pena.
Non sto invitando alla
santità. Ma a non essere masochisti.
Le preghiere
Spesso le preghiere non sono
che chiacchiere. E Dio non è una comare.
Ecco perché è inutile
pregare Dio. Dio non fa chiacchiere e non ascolta chiacchiere.
Lassù, le chiacchiere stanno
a zero.
Dio e Lucifero
Il nome Lucifero significa
letteralmente “portatore di luce”.
Perché allora un “portatore
di luce” dovrebbe essere l’avversario di Dio?
A meno che Dio sia un
oscurantista. In effetti, dal racconto biblico, è proprio così. Dio vuole
impedire che gli uomini mangino i frutti dell’albero del bene e del male (la
conoscenza) e dell’albero della vita (l’immortalità).
Il più grande nemico
dell’uomo sembra lui. D’altronde il termine “dio” deriva da quella radice
indo-europea, che indica “divisione”, come nella parola “dev” da cui derivano i
deva indiani.
Ma, per non cadere nel
vecchio manicheismo, diciamo che Dio e Lucifero sono due aspetti di quel processo
unico che ora nasconde e ora scopre, ora illumina e ora oscura, ora vela e ora
disvela.
La natura dell'illuminazione
In fondo l’illuminazione non
è che la consapevolezza che tutte le cose sono interconnesse e unite.
Ma questa consapevolezza non
deve essere un semplice pensiero – deve essere un’esperienza.
Le due gioie
Esiste una gioia che nasce
da eventi straordinari, come vincite, amori, successi, colpi di fortuna, ecc.
Ma si tratta di fatti rari e occasionali, che dipendono in gran parte dagli
altri.
Esiste poi una gioia che
dovrebbe nascere dalla semplice consapevolezza di esistere. Ma, poiché qui si
tratta di apprezzare cose di tutti i giorni, comuni, ordinarie, è ancora più
rara della precedente.
martedì 25 agosto 2015
La natura di Dio
Se essere un io è fondamentalmente
sofferenza, se la vita è lotta, se il mondo è sempre in guerra, perché il tutto
si dà tanto da fare per individuarsi in tanti piccoli soggetti? Se poi, alla
fine, ogni cosa deve tornare nella grande matrice, non sarebbe meglio lasciare
tutto così com’è?
Che gioco (lila) è?
Il fatto è che all’origine
non c’è un ente, ma un processo. Un processo creazione/distruzione, apparire/scomparire,
nascere/morire.
Il processo crea per
distruggere e distruggere per creare. È il suo gioco. È la sua natura.
Istanti di eternità
Se vuoi imparare a meditare,
devi concentrarti sul centro del tuo essere, senza pensieri, dimentico del
corpo e della mente, al di fuori del tempo e dello spazio.
In quel momento non sei
neppure te stesso, ma il tutto, l’essere universale.
È difficile? Dura solo un
istante?
La verità è che noi siamo
sempre, in ogni istante, il tutto, e che facciamo continuamente un grande sforzo
per non esserlo, per individuarci.
Questa è la tensione della
vita, la sofferenza (dukkha). Quando
siamo felici, dimentichiamo il nostro io, lo superiamo. Se invece vogliamo
essere un io, dobbiamo soffrire.
Mettere il tutto nell’io è
una fatica immane, che in effetti ci distrugge. È come mettere troppa aria in
un palloncino: il palloncino si tende sempre di più e, alla fine, scoppia.
Alla fine, scoppia. Ma non
succede niente di grave. L’aria compressa, finalmente, si libera.
lunedì 24 agosto 2015
Lo sguardo sintetico
Finché rimarremo ancorati
alle parole, non capiremo il fondo della realtà: continueremo a dividere e a
contrapporre ciò che è unito.
Per andare al di là occorre
passare ad una modalità di pensiero che veda l’unità negli opposti, che non sia
più limitata dallo spazio-tempo e dall’io, e che sappia farsi mente universale.
Dobbiamo vedere in un istante e determinare la nostra stessa realtà.
Un buon punto di partenza è
rimanere centrati nel proprio essere, al di là del corpo e della mente dualistica.
Di una persona, per esempio,
si può capire tutto - per cosa è fatta e fin dove arriverà – semplicemente guardandola
senza utilizzare pregiudizi, senza distinguere tra buono e cattivo, semplicemente
sentendola.
Non è una conoscenza
analitica, ma sintetica.
Anche certi eventi possono
essere capiti e previsti con lo stesso tipo di sguardo.
L'identikit di Dio
Come parlare di Dio se non
partendo dalla natura? Ogni altro discorso che prescinda dalla natura è solo
metafisica, cioè un sogno ad occhi aperti. Se vogliamo capire come sia fatto un
architetto non possiamo che esaminare le sue opere. Per ricostruire il volto di
un criminale dobbiamo esaminare l’identikit.
E l’identikit della natura è
quello che è: un po’ bello, un po’ buono e molto feroce. La sua legge fondamentale
è che la vita si debba nutrire di altre vite.
Che la natura sia poco
presentabile lo dimostra la metafisica cristiana che sostiene che la natura sia
decaduta dopo il peccato originale.
Argomento astuto, che non
nasconde però il divario tra l’ipotesi di un Dio tutto amore e bontà e la
realtà così com’è.
Come parlare di Dio se non
studiando la natura?
Ne consegue che la vera
teologia è la scienza.
Ammodernare la Chiesa?
Pare che il Papa abbia
confidato a Eugenio Scalfari, un fervente ammiratore di Francesco, che il suo
scopo sia far entrare la Chiesa nel mondo moderno. Lodevole intenzione. Ma
sarebbe come pretendere di far circolare nelle nostre strade un dinosauro.
Con ciò, comunque, anche
Francesco ammette che la Chiesa è un vecchio pachiderma, un pezzo di
antiquariato, un pezzo di mondo antico che porta con sé valori e comportamenti
superati, antimoderni (ci siamo dimenticati la condanna del “modernismo”?).
Ma in che modo ammodernare
la Chiesa? Non basta l’uso di cellulari e computer. È la testa, sono le idee che
devono cambiare.
Il primo problema che il
Papa è un dittatore e che non viene controllato da nessuno. Se quindi domani
salirà al potere il solito reazionario, tutto ritornerà indietro. Insomma non c’è
nessuna garanzia di continuità delle riforme. La Chiesa è una dittatura, una
struttura totalitaria, che non accetta né critiche né la collaborazione dal
basso della gente.
Il secondo problema è la sua
concezione di Dio, vecchia, vecchissima. Un Padre-Padrone che sta lassù a
creare e a dirigere un mondo che fa acqua da tutte le parti. Un essere
perfettissimo e potentissimo, tutto amore e bontà, che ha creato uno sputacchio
di universo in cui dominano violenza e ingiustizia e dove la legge fondamentale
è che ognuno deve ammazzare gli altri per sopravvivere.
Anche l’idea di un Padre che
manda un suo Figlio a salvare il mondo, prevedendo che debba essere ucciso,
assegna il cristianesimo alle religioni del sacrificio, che è quanto di più
vecchio ci sia al mondo.
Insomma, un decrepito castello
di carte che non sta in piedi, che non ha in sé nessuna concezione moderna e
che trascina anche i credenti in un gorgo di idee reazionarie.
Ci sono, sì, concezioni
antiche che hanno una straordinaria sintonia con il mondo moderno (per esempio certe
religioni orientali che trovano un riscontro nelle fisica più avanzata), ma non
il cristianesimo, che appare desolatamente vecchio, e men che mai il
cattolicesimo, con il suo corteo di dei (il Padre, il Figlio, la Madre [= Osiride,
Horus, Iside]) e di santi, che è soltanto l’ultimo atto del mondo pagano
antico.
domenica 23 agosto 2015
La vita dopo la morte
Talvolta apprendiamo di
straordinarie esperienze di pre-morte, dove, in occasione di incidenti e di
operazioni che portano in coma, qualcuno riferisce di essere passato attraverso
un tunnel, di aver provato una grande leggerezza, un grande amore, di aver
visto qualche figura religiosa o qualche familiare e di essere ritornato
malvolentieri in questa vita.
Qualcuno descrive una specie
di paradiso, qualcuno di una specie di inferno. Si vedono luci, si sentono
suoni soprannaturali, ci si sposta col pensiero, si è dappertutto in un
istante, si è felici o terrorizzati, ecc.
Ma non si tratta di novità.
Se prendiamo per esempio il Libro tibetano
dei morti abbiamo qualcosa del genere. Si dice che si vedranno luci e
divinità, ora benefiche ora terrorizzanti, si sarà sette volte più
intelligenti, ci si sposterà alla velocità della luce, si vedrà la terra ei
suoi abitanti, si rivedrà la propria vita, si sarà attirati o respinti da certe
esperienze e, alla fine, o ci si libererà definitivamente della terra o vi si
ritornerà per un altro giro di giostra.
Ma anche certe esperienze di
meditazione o di mistici descrivono esperienze simili. Grandi gioie, grandi
terrori.
Quello che colpisce è che
ognuno vede figure religiose della propria religione. Il cristiano vedrà la
Madonna, Gesù o qualche suo santo prediletto; e l’induista o il buddhista vedra
divinità della tradizione in cui credono.
Che cosa significa? Che
esistono veri dei e vari aldilà?
Dobbiamo stare attenti:
anche il Libro tibetano dei morti
sottolinea che tutte queste divinità sono proiezioni della mente. E che alla
fine noi vediamo ciò in cui crediamo.
Dal punto di vista teorico,
potremmo dire che, quando lo spirito si separa dal corpo, assume un “corpo
sottile” che è molto più veloce e cangiante. In realtà è un corpo spirituale in
cui ogni pensiero si realizza immediatamente. Se io penso a un santo, vedo quel
santo; se io penso a un familiare morto, vedo quel familiare. Se penso alla
Luna, mi ci trovo subito; se penso al mio paesello, mi ci trasferisco subito.
Così come succede in certi sogni.
L’elemento determinante
sembra essere la mente, che privata dell’ancoraggio ad un corpo e ad una realtà
concreta, crea istantaneamente ciò in cui crede, ciò a cui pensa, ciò a cui
crede.
Se su questa terra lo
spirito è gravato da un corpo e da un mondo che impone comunque le proprie
leggi e limitazioni, dopo la morte potrà spostarsi dove vuole ed essere ciò che
vuole.
Questa è una grande
opportunità, ma anche un grande pericolo. Perché saranno i nostri pensieri e i
nostri desideri a trascinarci e a modellare la realtà. Non ci sarà più una
realtà oggettiva cui riferirsi. E noi
saremo veramente i creatori del nostro destino.
Ecco perché è importante
capire fin da adesso che cosa vogliamo e che cosa crediamo.
Avremo ciò che più
desideriamo, realizzeremo le condizioni cui aspiriamo. Saremo prigionieri delle
nostre credenze o saremo liberi. Tutto dipenderà dal grado di consapevolezza
raggiunto già su questa terra.
sabato 22 agosto 2015
Risveglio e liberazione
Nessuno nasce libero.
Nasciamo tutti come piccoli replicanti, robot guidati da altri, cuccioli di un
gregge o di una mandria. Il primo processo di crescita e di formazione è
essenzialmente una forma di condizionamento.
Per liberarsi da questo
imprinting familiare, culturale e sociale, ci vorranno decenni. Non scegliamo
niente, né i genitori, né la scuola, né la religione. Tutto ci viene imposto.
Le nostre parole, le nostre
idee, i nostri pensieri, i nostri giudizi, i nostri valori sono soltanto
repliche di quelli degli altri. Ripetiamo ciò che ci viene instillato credendo
che sia nostro.
Ma non è nostro, non è una
nostra creazione; è la creazione del DNA, della cultura dominante, della
famiglia, della scuola, della religione, ecc. Siamo talmente condizionati che saremo
costretti a innamorarci di qualcuno che assomigli ai nostri genitori. Non ci
sarà possibilità di scelta.
Per liberarci di questa
eredità occorrerà un lungo e faticoso processo di decondizionamento, di presa
di coscienza, di presa di distanza, di critica, di ribellione, di scontri…
Per diventare noi stessi, vorrà
tutta la vita – e molti non ci riusciranno: continueranno a ripetere idee e
comportamenti che sono di altri. Ecco perché il risveglio si chiama anche
liberazione.
Dovremo liberarci dei
vestiti vecchi e indossarne altri, di nostra scelta. Nessuno nasce libero: la libertà si conquista.
venerdì 21 agosto 2015
Bodhicitta
Bodhicitta è un termine
sanscrito che indica l’aspirazione al risveglio. Che cosa significa?
Significa che, una volta
generata questa aspirazione, otteniamo una prima forma di illuminazione, perché
ci rendiamo conto di vivere addormentati, in una specie di sogno ad occhi
aperti.
Da quel momento cerchiamo di
risvegliarci, compiendo vari sforzi, mettendo in atto varie tecniche e percorrendo
varie vie.
Ci potranno essere
deviazioni, errori, interruzioni, abbandoni, ecc. Ma una cosa è certa.
Il seme è stato gettato e,
prima o poi, germoglierà.
Non si può tornare indietro.
Una volta risvegliata questa aspirazione, il processo si è messo in moto.
Allargare e chiudere
Talvolta la via della
meditazione sembra confusa. Ma, in realtà, ci sono vari percorsi, che alla fine
conducono alla stessa meta: il risveglio.
Di solito incominciamo con
la concentrazione, che è una forma di chiusura. Ci si concentra su un oggetto,
che può essere il respiro, un mantra, un’immagine, un punto reale o
immaginario, ecc. Questo ci aiuta a restringere il campo dell’attenzione,
eliminando le distrazioni e calmando la mente che è sempre troppo attiva e
dispersiva.
Ma, giunti a questo punto,
dobbiamo riaprire, allargando il campo della consapevolezza alle varie manifestazioni
mentali: pensieri, emozioni, stati d’animo, ecc., e alle varie esperienze.
A questa fase appartiene
anche la meditazione non formale, quella che non si svolge seduta ma che
avviene durante il giorno nelle attività dell’esistenza. Qui dobbiamo capire
noi stessi, come siamo fatti, come agiamo e reagiamo nella quotidianità, quali
sono le nostre convinzioni, le nostre aspettative (più o meno fondate), le
nostre illusioni, ecc. Si tratta di una meditazione analitica.
Ma, infine, dobbiamo
ritornare alla sintesi, alla visione d’insieme, al senso generale dell’essere
presenti, alla consapevolezza di sé, ad esperire l’unità del tutto.
Andate e ritorni, aperture e
chiusure, che devono essere ripetute tutti i giorni, con pazienza, con
determinazione, con forza.
In certi momenti crederemo
di esserci persi, di esserci bloccati, di non avanzare. Ma, in realtà, stiamo
progredendo, magari di un millimetro alla volta. Ci stiamo trasformando, perché
niente è veramente immobile e tutto cambia di continuo.
Il re di Roma
Dunque, nella basilica romana
che aveva rifiutato i funerali religiosi al povero Welby, colpevole agli occhi
della Chiesa di aver voluto abbreviare le proprie sofferenze, di aver voluto
decidere di testa propria (l’unico organo che ancora gli funzionava in un corpo
morto), di non aver voluto sottostare al sadismo religioso, di essersi
ribellato alla presunta volontà divina, si sono celebrati i funerali di un boss
mafioso, con tanto di pacchiane immagini sacre, un cocchio trainato da sei
coppie di cavalli, petali di rose lanciati da un elicottero, prefiche pagate
che si strappavano le vesti, la musica del Padrino e, naturalmente, la
benedizione del prete.
Complimenti. Ogni volta che
parliamo male della Chiesa, denunciando le sue aberrazioni, capita qualcosa che
è ancora peggio, superando ogni fantasia.
Non c’è limite al marciume
del cattolicesimo. È ancora la vecchia religione del potere, dei soldi, della
mafia e dei don Abbondio.
La stessa che vediamo
rifulgere nel solito convegno affaristico-religioso, a Rimini, di Comunione e
Liberazione, che qualcuno ha ribattezzato Comunione e Fatturazione.
Nonostante Francesco, c’è
poco da rinnovare. È sempre la stessa musica, corrotta moralmente.
E la cosa assurda è che
questa gente vorrebbe fare la morale ali altri.
giovedì 20 agosto 2015
Le difficoltà della meditazione
Un lettore mi scrive: « Pratico la meditazioni
quotidianamente e ho partecipato a ritiri con la comunità italiana
di Tich Nath Hahn.
Ho una domanda da porle. Da un po’ di tempo mi sento bloccato nel mio percorso di pratica e da qualche giorno ho
preso coscienza della ragione di tale blocco. Ho letto che solo l'esperienza ha il "potere" di cambiare la mia vita , la conoscenza intellettuale di una verità senza esperire la stessa non è in grado di innescare il processo di cambiamento. Mi sembra così di vivere un paradosso: vivo quotidianamente una realtà illusoria che io sperimento come vera mentre la vera natura delle cose, di cui leggo
e mi convinco, continua sfuggirmi in termini di esperienza. Ho anche letto che la meditazione ha anche questo
scopo, farci sperimentare la nostra vera natura. Ma al di là delle difficoltà, spesso questa aspettativa mi crea tensione,
come se aspettassi con ansia che qualcosa mi si riveli. E incomincio anche a crearmi "immagini" su cosa dovrei trovare.
Avrei tante cose da dire per specificare meglio il senso di disagio che sto provando, spero di essere stato comunque abbastanza chiaro.»
Ho una domanda da porle. Da un po’ di tempo mi sento bloccato nel mio percorso di pratica e da qualche giorno ho
preso coscienza della ragione di tale blocco. Ho letto che solo l'esperienza ha il "potere" di cambiare la mia vita , la conoscenza intellettuale di una verità senza esperire la stessa non è in grado di innescare il processo di cambiamento. Mi sembra così di vivere un paradosso: vivo quotidianamente una realtà illusoria che io sperimento come vera mentre la vera natura delle cose, di cui leggo
e mi convinco, continua sfuggirmi in termini di esperienza. Ho anche letto che la meditazione ha anche questo
scopo, farci sperimentare la nostra vera natura. Ma al di là delle difficoltà, spesso questa aspettativa mi crea tensione,
come se aspettassi con ansia che qualcosa mi si riveli. E incomincio anche a crearmi "immagini" su cosa dovrei trovare.
Avrei tante cose da dire per specificare meglio il senso di disagio che sto provando, spero di essere stato comunque abbastanza chiaro.»
Una situazione molto comune, praticamente una tappa obbligata del percorso di meditazione. Come si risolve?
Si risolve prendendo a oggetto di meditazione proprio
questo senso di ansia e di disagio. Concentrarsi su di esso anziché cercare
evitarlo.
Le difficoltà che incontriamo non sono ostacoli alla via:
sono la via stessa. Se non stessimo male, perché mediteremmo? Possiamo non
stare male se perdiamo il lavoro, se ci ammaliamo, se non otteniamo ciò che
vogliamo, se non abbiamo denaro, se viviamo con chi non ci piace o se perdiamo
qualcuno?
Il problema è che noi nutriamo delle aspettative troppo
rosee e ci facciamo un’immagine idilliaca di ciò che la meditazione dovrebbe
essere e a che cosa dovrebbe portarci. Insomma, anche la meditazione ha le sue
illusioni e delusioni, che tuttavia diventano i nostri migliori insegnanti
quando comprendiamo che sono forze sempre attive nella vita di tutti i giorni.
Ma la realtà è brutale e la vita se ne frega delle nostre
aspettative e ci presenta quello che vuole lei. Noi, a nostra volta, dobbiamo
fregarcene di queste difficoltà e considerarle un utile materiale di
meditazione. Chi la dura, la vince. E, se osserviamo le difficoltà e gli
ostacoli con distacco, ecco che ci poniamo su un altro livello e stiamo
progredendo di nuovo.
L’importante è esperire
la realtà così com’è, bella o brutta che sia. La meditazione nasce certamente
per vincere il disagio, il malessere, la sofferenza. Ma non si può batterla per
sempre e sempre. E, quando la sofferenza o l’aridità si ripresentano, dobbiamo
dirci: “Sei di nuovo qua, brutta bestia. Non mi fai paura. Io ti conosco. Ora
ti sistemo”.
Dobbiamo portare la consapevolezza sull’esperienza del
momento, qualunque sia.
La meditazione è una forma di omeostasi: riporta
l’equilibrio nel nostro animo.
mercoledì 19 agosto 2015
L'inversione biblica
Nella Bibbia è tutto
invertito. Satana,che vuole aiutare l’uomo a emanciparsi, viene considerato il
corruttore.
E Dio, che vuole l’uomo
schiavo e obbediente, viene considerato il Dio da pregare.
Anche Gesù ci ha fatto un
brutto scherzo. Pregava Dio illudendosi che lo avrebbe aiutato. E si è visto
come è finito.
Per questo, la civiltà che è
nata dalla Bibbia, la tradizione giudaico-cristiano-islamica ha messo a ferro e
a fuoco il mondo.
Ha sbagliato Dio.
Guardate i musulmani, con il
loro feroce terrorismo. Guardate i cristiani, che hanno asservito, sfruttato e
devastato il mondo. Guardate gli ebrei, sempre in guerra a uccidere i loro
vicini. Tutta gente che adora lo stesso Dio… sbagliato.
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