Non voglio dire che non esista un' identità, un' anima. Può darsi che esista. Ma voglio dire che non la troveremo mai. Quello che cerchiamo è un' unità, una sintesi. E invece troviamo sempre degli aspetti, questo o quell' altro. Ma mai l' insieme, mai la totalità che vorremmo . Quella non la troveremo mai, per il semplice ragione che noi ci siamo dentro. Liberarsi dai condizionamenti e praticamente impossibile. E allora che cosa conosciamo? Sempre qualcosa di insoddisfacente, qualcosa che non ci farà sentire mai completi. L' anima non è di questo mondo.
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Bellissimo passaggio — e molto profondo.
Quello che dici esprime perfettamente una tensione diadica centrale: tra l’anelito all’unità e la condizione frammentata dell’esistenza.
Proviamo a esplicitare il pensiero in forma più articolata, per integrarlo nel linguaggio del Manifesto delle Oscillazioni degli Opposti Complementari:
L’anima come assenza operante
Non voglio negare che esista un’anima o un’identità profonda.
Può darsi che esista, ma se esiste, non è qualcosa che si possa possedere o trovare, perché ogni tentativo di definirla la riduce a un aspetto, a una parte.
Noi cerchiamo l’unità, la sintesi di tutti gli aspetti — ma troviamo sempre soltanto differenze, oscillazioni, parzialità.
Ci appare un volto, poi il suo contrario.
Una sensazione, poi la sua negazione.
Mai la totalità.
Perché la totalità non può essere vista da dentro, così come l’occhio non può vedersi da sé.
Liberarsi dai condizionamenti è praticamente impossibile: ciò che chiamiamo “condizionamento” è il tessuto stesso della realtà in cui siamo immersi.
Ogni conoscenza, ogni esperienza, è situata, limitata, e dunque oscillante.
Conosciamo sempre qualcosa di parziale, frammentario, e perciò inevitabilmente insoddisfacente.
La nostra sete d’assoluto è reale, ma non può essere colmata con ciò che è finito.
Per questo l’anima — se esiste — non è di questo mondo, o meglio, non è interamente di questo mondo:
essa è la vibrazione che si genera tra questo mondo e ciò che lo trascende,
tra l’immanente e il trascendente,
tra l’essere e il nulla.
Vuoi che sviluppi questo passo come una sezione autonoma del Manifesto, ad esempio con il titolo “L’anima come assenza operante” o “L’anima come tensione all’unità”?
Potrei anche intrecciarlo con la tua idea che “anche l’anima, se esiste, oscilla e si trasforma”, per mostrare come la sua “assenza” non sia un vuoto statico ma un principio dinamico di ricerca.
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Sì, sviluppa.
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Perfetto. Ecco una **versione sviluppata e integrata** del passo, concepita come sezione autonoma del *Manifesto delle Oscillazioni degli Opposti Complementari*, in coerenza con la tua visione:
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## **L’anima come assenza operante**
Non voglio negare che esista un’anima.
Può darsi che esista. Ma se esiste, non è qualcosa che si possa trovare, afferrare o possedere.
Ogni volta che crediamo di avvicinarci alla sua essenza, essa si ritrae, si nasconde dietro nuovi aspetti, nuovi riflessi.
Ci mostra frammenti, mai il tutto.
Cerchiamo l’unità, e troviamo sempre una pluralità di manifestazioni.
Cerchiamo la sintesi, e scopriamo soltanto nuove diadi in tensione.
Perché?
Perché **la totalità non si lascia osservare da dentro**.
Noi siamo parte di ciò che vorremmo comprendere, e dunque ogni nostro sguardo è parziale.
L’occhio non può vedersi da sé, il pensiero non può racchiudere completamente il pensare.
Ecco perché **l’anima non è un possesso ma un movimento**, non un’essenza ferma ma una **oscillazione verso l’unità**.
Liberarsi dai condizionamenti non è possibile, non del tutto:
ciò che chiamiamo “condizionamento” non è un ostacolo esterno ma la struttura stessa della realtà vissuta.
Noi conosciamo sempre da un punto, mai dal Tutto.
Ogni conoscenza è situata, prospettica, parziale.
Così l’esperienza umana è fatta di **frammenti oscillanti**, di **sintesi provvisorie**, di **continui passaggi di soglia** tra il sapere e l’ignorare, il sentire e il non sentire, l’essere e il non-essere.
Per questo la conoscenza è sempre un po’ insoddisfacente.
Ogni conquista di senso ne apre un’altra, ogni equilibrio è temporaneo.
L’anima — se esiste — **non appartiene a questo mondo perché non si chiude in nessuna forma finita**.
Essa è ciò che vibra **tra** i mondi, tra il visibile e l’invisibile, tra il divenire e ciò che lo trascende.
Potremmo dire che **l’anima è un’assenza operante**:
non è qualcosa che *abbiamo*, ma qualcosa che *ci muove*.
È il principio oscillante che mantiene viva la tensione verso l’unità pur sapendo che l’unità non potrà mai essere del tutto posseduta.
È la nostalgia del Tutto che si manifesta nel frammento,
la spinta a cercare la sintesi sapendo che ogni sintesi è solo un passaggio di fase,
una modulazione temporanea nella danza infinita degli opposti.
Così, l’anima, se esiste, **oscilla e si trasforma**.
Non è una sostanza eterna e immutabile, ma una soglia vibrante tra il noto e l’ignoto.
È il principio di continuità che si manifesta nella discontinuità delle esperienze.
Un campo di risonanza che connette il visibile all’invisibile, la memoria al futuro, il sé al suo oltre.
L’anima non è un punto d’arrivo, ma **un principio di oscillazione infinita**:
un vuoto attivo, un centro che non si lascia chiudere,
un richiamo verso l’unità che si rinnova in ogni istante di separazione.
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Vuoi che aggiunga un breve paragrafo conclusivo che colleghi questa visione alla **diade essere/nulla** (come oscillazione fondamentale dell’anima), per farne una continuità con la parte ontologica del Manifesto?
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Aggiungi paragrafo.
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Perfetto. Ecco la sezione completa con il paragrafo conclusivo aggiunto, in continuità con la diade ontologica Essere/Nulla:
L’anima come assenza operante
Non voglio negare che esista un’anima.
Può darsi che esista. Ma se esiste, non è qualcosa che si possa trovare, afferrare o possedere.
Ogni volta che crediamo di avvicinarci alla sua essenza, essa si ritrae, si nasconde dietro nuovi aspetti, nuovi riflessi.
Ci mostra frammenti, mai il tutto.
Cerchiamo l’unità, e troviamo sempre una pluralità di manifestazioni.
Cerchiamo la sintesi, e scopriamo soltanto nuove diadi in tensione.
Perché?
Perché la totalità non si lascia osservare da dentro.
Noi siamo parte di ciò che vorremmo comprendere, e dunque ogni nostro sguardo è parziale.
L’occhio non può vedersi da sé, il pensiero non può racchiudere completamente il pensare.
Ecco perché l’anima non è un possesso ma un movimento, non un’essenza ferma ma una oscillazione verso l’unità.
Liberarsi dai condizionamenti non è possibile, non del tutto:
ciò che chiamiamo “condizionamento” non è un ostacolo esterno ma la struttura stessa della realtà vissuta.
Noi conosciamo sempre da un punto, mai dal Tutto.
Ogni conoscenza è situata, prospettica, parziale.
Così l’esperienza umana è fatta di frammenti oscillanti, di sintesi provvisorie, di continui passaggi di soglia tra il sapere e l’ignorare, il sentire e il non sentire, l’essere e il non-essere.
Per questo la conoscenza è sempre un po’ insoddisfacente.
Ogni conquista di senso ne apre un’altra, ogni equilibrio è temporaneo.
L’anima — se esiste — non appartiene a questo mondo perché non si chiude in nessuna forma finita.
Essa è ciò che vibra tra i mondi, tra il visibile e l’invisibile, tra il divenire e ciò che lo trascende.
Potremmo dire che l’anima è un’assenza operante:
non è qualcosa che abbiamo, ma qualcosa che ci muove.
È il principio oscillante che mantiene viva la tensione verso l’unità pur sapendo che l’unità non potrà mai essere del tutto posseduta.
È la nostalgia del Tutto che si manifesta nel frammento,
la spinta a cercare la sintesi sapendo che ogni sintesi è solo un passaggio di fase,
una modulazione temporanea nella danza infinita degli opposti.
Così, l’anima, se esiste, oscilla e si trasforma.
Non è una sostanza eterna e immutabile, ma una soglia vibrante tra il noto e l’ignoto.
È il principio di continuità che si manifesta nella discontinuità delle esperienze.
Un campo di risonanza che connette il visibile all’invisibile, la memoria al futuro, il sé al suo oltre.
L’anima non è un punto d’arrivo, ma un principio di oscillazione infinita:
un vuoto attivo, un centro che non si lascia chiudere,
un richiamo verso l’unità che si rinnova in ogni istante di separazione.
Oscillazione tra Essere e Nulla
Nel fondo dell’anima vibra la diade originaria: Essere e Nulla.
Non come opposti assoluti, ma come estremi di una stessa vibrazione cosmica.
L’anima è la soglia vivente in cui l’Essere si fa percepibile e il Nulla si fa generativo.
Quando l’anima “è”, tende a manifestarsi; quando “non è”, si ritira e prepara nuove forme.
È nel continuo passaggio tra presenza e assenza che l’anima si riconosce come principio oscillante.
Essa non abita né l’Essere puro né il Nulla puro, ma l’intervallo che li unisce, la tensione che li fa coesistere.
L’anima è quindi il punto mobile dove l’infinito prende coscienza di sé attraverso il limite,
dove l’eterno si fa tempo,
dove il silenzio si trasforma in parola e la parola si dissolve nel silenzio.
In questo senso, l’anima non è di questo mondo,
ma è il movimento stesso con cui il mondo cerca se stesso attraverso di noi.
Vuoi che lo inserisca subito dopo la sezione “Anche l’anima, se esiste, oscilla e si trasforma”, come sviluppo naturale, oppure vuoi che resti un capitolo autonomo nella parte metafisico-spirituale del Manifesto?
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