Certo, siamo tutti preoccupati della
morte che ci attende. Ma il problema – diciamolo – è che non vogliamo
abbandonare la nostra attuale identità, il nostro io psico-fisico.
Pensiamo: siamo emersi dal nulla,
tiriamo un po’ fuori la testa e subito dobbiamo affondare? È a questa
prospettiva che ci opponiamo con tutte le nostre forze. E allora ecco che speriamo in Iddii e Salvatori che ci salvino.
Però, siccome dobbiamo comunque morire,
non ci fidiamo. Potrebbe essere tutto un’illusione. Nessuno è mai tornato
indietro a riferire come stanno le cose.
L’unica cosa certa è la disgregazione
ineluttabile cui siamo condotti dal tempo, dalle vecchiaia e dalla morte. Siamo
su una barca che è sbattuta dalle onde delle tempeste. Quanto può durare prima
che il legno marcisca e il ferro si arrugginisca? Sempre troppo poco per le
nostre pretese di immortalità.
Le religioni ci parlano di un’anima
immortale. Ma in che cosa consiste la sua sostanza? Il corpo certo non
sopravvive. Potrebbe tutt’al più sopravvivere lo spirito, la mente, la memoria,
la coscienza, il sé. Ma la verità è che nessuna sa di che cosa si tratti.
In fondo l’io, la nostra identità, è
solo la percezione che ne abbiamo – niente di stabile, niente di concreto, un
insieme o una configurazione di informazioni. Ma come potrebbero esistere delle
informazioni senza un supporto fisico? Sarebbero una specie di io virtuale, un
fantasma senza consistenza.
Non è un caso che nel buddhismo l’ultimo
stadio della progressione spirituale viene definito “né percezione né non-percezione”.
Siamo alla fine o alla trascendenza della coscienza stessa, così come la
conosciamo. Tant’è vero che si parla di “cessazione” o di “estinzione”, non di
una supercoscienza.
Influenzati dalle nostre religioni
teiste, siamo propensi a credere che, per bene che vada, dopo la morte dovrebbe
esserci un incontro o un’unione con la Realtà Suprema, con Dio, con la
divinità. Ma è chiaro che siamo ancora nell’ambito di una mente terrena e
quindi del samsara. Non di un’estinzione e del superamento del nostro intero
piano ontologico.
Il problema è che non esistono conferme
né di una ipotesi né dell’altra e tutto finisce per essere una fede, anche se
nel buddhismo si dice che già in questa vita possiamo sperimentare, proprio
attraverso la meditazione più avanzata, questo stato del “né essere né
non-essere”.
Così l’ansia non finisce mai. C’è sempre
la paura di non riuscire a farcela, Dio o non-Dio, anima o non-anima.
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