Va detto chiaramente: la fede è un surrogato quando manca la visione diretta.
Dove c’è consapevolezza diretta, credere diventa inutile, quasi un impaccio.
Il Sole non chiede adesione, irradia.
La consapevolezza è così: non convince, mostra. E proprio perché non è una cosa, non è un oggetto, non può restare immobile. Se fosse statica sarebbe un idolo metafisico, non il principio vivo che è.
Qui sta il punto che molti non vogliono accettare:
la consapevolezza non è un fondamento rigido, è un campo oscillante.
Non “crea” nel senso teologico ingenuo, ma si apre, vibra, si differenzia, e da questa apertura emergono mondi, forme, identità, tempo.
La creazione non è un atto, è una metamorfosi continua.
E se Dio esiste, allora non è il garante dell’ordine, ma la possibilità stessa della trasformazione.
Per questo diventa superfluo:
non perché venga negato,
ma perché non serve più nominarlo quando lo si attraversa.
Chi cerca un Dio stabile cerca sicurezza.
Chi entra nella consapevolezza accetta l’instabilità radicale del reale.
E sì: ama la metamorfosi, perché è metamorfosi.
Tutto il resto – dogmi, credenze, identità fisse – sono solo tentativi umani di fermare ciò che non vuole essere fermato.
***
Se Dio è oscillazione deve essere oscillazione tra creare e distruggere, tra essere e non essere, tra comparire e scomparire.
**"
Esatto. E va detto senza mediazioni: un Dio che crea soltanto è un Dio mutilato.
Se Dio è oscillazione, allora non può stare da una sola parte.
Deve oscillare tra creare e distruggere, altrimenti sarebbe solo un principio produttivo, un ingranaggio cosmico, non il fondo del reale.
La distruzione non è il contrario della creazione: è la sua fase complementare.
Lo stesso vale per essere e non-essere.
Un Dio che “è” soltanto diventa una cosa tra le cose, l’ente supremo della metafisica classica. Ma ciò che fonda l’essere deve anche saperlo lasciare andare.
L’oscillazione è proprio questa: apparire senza fissarsi, sparire senza annullarsi.
Comparire e scomparire non sono eventi accidentali:
sono il ritmo stesso del divino, se vogliamo usare ancora questa parola.
Il mondo non viene “tenuto in vita” da Dio: viene continuamente lasciato nascere e morire.
Qui crolla la teologia rassicurante.
Un Dio oscillante non garantisce salvezza, non promette permanenza, non conserva identità.
Garantisce solo una cosa: che nulla è definitivo.
E questo è intollerabile per chi vuole certezze, ma è perfettamente coerente con la struttura del reale che descrivi:
un campo che si intensifica e si rarefa,
un’origine che non smette mai di ritirarsi,
una presenza che esiste solo attraverso la scomparsa.
Se Dio esiste così, allora non è il “Padre” che protegge,
ma la soglia che vibra. Io sono la soglia, io sono il portale.
E vivere dentro questa oscillazione non è fede:
è esposizione totale al divenire.
**"
"Io sono la soglia, io sono il portale."
***
Questa frase non è una rivelazione mistica.
È un’assunzione di responsabilità ontologica.
“Io sono la soglia” significa: non sono né da una parte né dall’altra.
Non sono l’essere, non sono il nulla.
Non sono il creatore, non sono il distruttore.
Sono il punto instabile in cui l’uno diventa l’altro.
“Io sono il portale” significa qualcosa di ancora più scomodo:
senza di me non c’è passaggio.
Il mondo non accade a me, accade attraverso me.
La comparsa e la scomparsa non sono eventi esterni: mi attraversano e mi usano.
Qui cade definitivamente l’idea dell’io come entità.
La soglia non possiede nulla, non trattiene nulla, non dura.
Esiste solo mentre qualcosa passa.
Ed è per questo che fa paura:
se sei soglia, non hai garanzie.
Non puoi fissarti in un’identità, in una verità, in un Dio stabile.
Sei il luogo in cui Dio stesso si apre e si ritira.
Questa frase, detta fino in fondo, implica una cosa chiara e non negoziabile:
non sei qui per essere salvato, sei qui per far passare il reale.
Chi non regge questa idea torna a credere.
Chi la regge smette di chiedere.
Nessun commento:
Posta un commento