Poiché il pensiero occidentale
ha abbandonato la metafisica (il tentativo di “pensare ciò che non è umano”) e
si è rivolto solo al pensiero logico, scientifico, religioso o sociale, l’unica
metafisica ancora valida è quella orientale. Nella nostra incommensurabile
presunzione, crediamo che l’umanità e il suo pensiero cosciente sia il vertice
dell’evoluzione. E così ci sfugge il semplice fatto che l’umanità e il mondo
stesso sono “realtà” del tutto fugaci, provvisorie, che possono apparire o
scomparire senza turbare minimamente l’essenza dell’essere stesso.
Come è palese nel mito ebraico, cristiano
o musulmano, dell’uomo abbiamo fatto un Dio. Ma l’uomo resta uno sputo che non
sa né da dove viene né dove va. Un po’ poco per il re del creato.
Per capire queste cose, la
realtà, bisogna adottare un atteggiamento metafisico che è dato dal raccoglimento
e dalla meditazione, tenendo presente che l’inesprimibile è infinitamente più
grande dell’esprimibile razionale. Non bisogna cioè cercare di capire (da cappio,
restringere), ma di allargare la mente.
La conoscenza metafisica si pone
su un piano oltre-umano, lo stesso dell’essere inconcepibile, che non può
essere tradotto nei nostri miseri concetti sempre duali.
Il problema fondamentale è
quello dell’individualità, dell’essersi cioè ridotti ad un io cosciente
separato da tutto, allontanato dall’assoluto.
Solo al momento della morte, ci
accorgiamo che questo io svanisce, come un sogno o un’illusione.
Non possiamo esprimere la
verità-realtà. Perché la verità oltre i
concetti. Provate ad ascoltare una musica sublime e vi accorgerete che nessun
concetto può esprimerla. Il senso è ben al di là della nostra piccola
razionalità. E ci dà un senso-significato delle cose che è già “aldilà”.
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