Che strana cosa la coscienza!
Sembra che sia un mezzo per conoscere. E lo è. Ma poi non sa dirci nulla né
della sua e nostra origine né della sua e nostra fine.
Allora, a cosa serve? Apparentemente
a renderci conto di determinate cose, ma non di tutte. Serve a conoscere che
siamo consapevoli, ma fino a un certo punto. Serve a farci sapere che
esistiamo, che siamo vivi, che proviamo determinati pensieri, sensazioni ed
emozioni e che andiamo incontro sicuramente alla morte. Nient’altro. Non ci
dice da dove veniamo (in origine), né dove finiremo dopo la morte.
Ma perché non ce lo dice e ci
lascia in questo stato di ignoranza? Non può o non deve?
Sembra legata al cervello,
perché quando il cervello si deteriora o svanisce, anche lei scompare.
Ma qual è il rapporto fra
cervello e coscienza? Il cervello produce la coscienza o è uno strumento, un
catalizzatore, della coscienza? Che dunque esisterebbe già da prima?
Chi dei due è nato prima? La coscienza
o il cervello? O si sono evoluti insieme?
E che cos’è la coscienza? Un
epifenomeno o una sostanza preesistente? Esiste cioè qualcosa di concreto, come
le onde radio, che per essere captate hanno bisogno di uno strumento, il
cervello, oppure è proprio il cervello che produce la consapevolezza?
Bisogna ammettere che tutti gli
esseri viventi hanno una qualche forma o quantità di coscienza, altrimenti non
sarebbero in grado di sopravvivere, ma che solo gli organismi superiori hanno
consapevolezza della consapevolezza, la consapevolezza della loro presenza – il
che fa la differenza.
Certi animali, per esempio,
posti di fronte a uno specchio, non riconoscono se stessi e credono che ci sia
un loro simile: solo le scimmie superiori riescono a capire che si tratta di
un’immagine di se stessi.
Questo sembra suggerire che sia
il grado di evoluzione del cervello (o di quel che funziona da centralina cosciente)
che determina il grado di coscienza. Ma che cos’è l’atto di coscienza?
Innanzitutto riconoscere se stessi:
io sono quello. Anche se non è detto che il “quello” sia coincidente con colui
che compie l’atto di riconoscimento. Qui può esserci divaricazione. Se ci fosse
perfetta coincidenza, non potremmo riconoscere noi stessi. Infatti, l’immagine
che riconosciamo o che vediamo nello specchio è sempre diversa da ciò che
siamo: è un facsimile.
Dunque, la coscienza è il frutto
di un atto di distanziazione, di divisione, di divaricazione. Per riconoscermi,
devo distanziarmi da me stesso. La coscienza si basa su una differenziazione.
In tal senso, l’animale superiore è più alienato dell’animale inferiore.
Questa alienazione (non essere
se stesso) è la base della coscienza. Il che spiega perché la coscienza sia in
fondo sempre infelice e non abbia l’idea di che cosa sia: non può averla. Per
conoscere, ci siamo alienati. E adesso non possiamo sapere chi siamo.
La coscienza è sapere chi si è,
al prezzo di conoscere qualcosa di fondamentalmente falso. Siamo come un attore
che si conosce nella parte, ma non nella persona reale che recita. O siamo un
occhio che non può vedere se stesso.
Quindi, il vero Sé ci sfugge
proprio perché siamo coscienti. Ciò che vediamo è un’immagine nello specchio,
l’io.
Ma non abbiamo ancora risposto
alla domanda: qual sia la natura della coscienza e in che rapporti stia con il
cervello.
Il cervello è in realtà lo
specchio, lo strumento che ci rivela approssimativamente,
falsamente, chi siamo. E la coscienza è l’atto di guardarci nello specchio. Non
è una cosa, una sostanza, ma una funzione. E questa funzione è possibile per la
presenza di qualcosa di simile ai neuroni-specchio che si attivano sia quando compiamo
un’azione finalizzata sia quando “guardiamo” (osserviamo) la stessa azione
compiuta da un altro soggetto. E sono stati osservati direttamente negli esseri umani, nei primati e
negli uccelli.
La coscienza è dunque l’atto di
osservare, l’atto di conoscere. È questo atto di conoscere che compie una scissione
del sé e mette in funzione la coscienza. Ciò che conosciamo è ciò che decidiamo
di osservare perché è su di esso che poniamo l’attenzione.
Ma non possiamo dire che la
coscienza sia una sostanza, così come non possiamo dire che la conoscenza sia
una sostanza. Si tratta di funzioni di qualcosa che definiamo sé e che non
possiamo conoscere perché è il centro che conosce. Ci precede sempre.
In conclusione la coscienza è
ciò che rispecchia una realtà che nella sua oggettività ci è ignota, ma che è interpretabile
attraverso i sensi e la mente.
Ciò che dunque conosciamo è
simile a un’illusione o a un sogno, un misto di realtà e fantasia, di
oggettività e soggettività. Ma che è ampiamente modificabile se si diventa
sempre più consapevoli del meccanismo della coscienza.
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RispondiEliminaBuongiorno Claudio, conosci il prof.Faggin? Si sta occupando da anni di questi tempi (rapporto coscienza -cervello, etc)
RispondiEliminaIn effetti il tema di che cosa sia la coscienza è ancora oggi discusso da scienziati e filosofi. Ma non si sa ancora che cosa sia la coscienza. Il che è ben strano: ciò che usiamo continuamente, ciò che ci è vicino più di ogni cosa, ciò che ci distingue dagli altri animali... è sconosciuto! Una bella alienazione, giustificata dal fatto che la coscienza è da un lato una dote ma dall'altro una degenerazione, una scissione, di uno stato unitario.
EliminaGrazie Claudio!
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