Non c’è da meravigliarsi che i
“divi” di oggi siano soprattutto gli attori. Perché sono falsi come erano falsi
gli dei di un tempo e il loro erede (unico ma trino), il dio di adesso.
Noi sovrapponiamo il ruolo
(falso, inventato, fantasticato, immaginato) alle persone degli attori che
neppure conosciamo. È così che si creano i miti moderni (e antichi).
Che sono nostre idee, non
realtà.
Certo, una realtà c’è. Ma noi
non la conosciamo e spesso è il contrario di quel che crediamo. (Una per tutte,
il divo che viene ritenuto un grande conquistatore di donne e che poi risulta
un omosessuale.) Noi conosciamo solo le nostre idee sulla realtà.
Questo vale per tutte le nostre
conoscenze, perché non c’è neppure una sensazione o una percezione che non sia
travisata e interpretata dalla mente.
Occorrerebbe dunque far tacere
la mente. Ma la mente, come il cuore o il respiro, non può fermarsi. Mai. Può
solo rallentare.
Allora, cosa meditiamo a fare?
Appunto, a rallentare, ad
acquietare.
Acquietare la mente nel suo
stato naturale di semplice consapevolezza della consapevolezza, rimanendo non
perturbati dalle molteplici attività della mente (idee, ricordi, immaginazioni,
ragionamenti, sensazioni…). È la base dei più avanzati stati di samadhi.
Si deve imparare a dimorare
nella coscienza primordiale che, nelle parole di Alan Wallace, è quel “conoscere
che precede un conoscere ‘un qualcosa’. Essere consapevoli di essere
semplicemente consapevoli.”
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