Il senso della vita – lo sappiamo
tutti – dipende dal senso della morte. Se non ci fosse la morte, il senso della
vita sarebbe completamente differente, perché sarebbe “vita eterna”, e quindi
non vita: una contraddizione assoluta.
Purtroppo, noi facciamo di tutto
per non pensare alla morte. E perciò non capiamo niente e della vita e della
morte.
Cercando accanitamente di
evitare ogni pensiero sulla nostra morte, otteniamo due risultati negativi: ci
occupiamo in maniera sproporzionata della vita e ingigantiamo la paura della
morte.
Non sono bei risultati.
Alla morte dobbiamo pensare
spesso, come meditazione di fondo, perché la morte non si dimentica mai di noi
(è inscritta nel nostro organismo e nella nostra psiche) ed è sempre accanto a
noi.
Dunque, se vogliamo la vita,
dobbiamo anche volere anche la morte. Anzi, si dovrebbe parlare di vita-morte.
Ma chi è il soggetto di questo volere? Potrebbe essere un dio, un Dominus, che
decide per noi – ma allora noi saremmo solo soggetti passivi che devono
accettare loro malgrado ciò che non vogliono. Ed è ciò che sentiamo e pensiamo
adesso.
Sentiamo che qualcuno ci ucciderà
e ne abbiamo il terrore.
Oppure potrebbe essere una
specie di soggetto trascendentale – che ha accettato di morire pur di vivere. E
questo è più probabile, perché fa di noi soggetti attivi e ci restituisce la
nostra dignità. Non siamo degli esseri condannati alla morte da un dio, ma
siamo noi che decidiamo o… abbiamo deciso senza ricordarcene.
Chiunque sia il soggetto di
questa decisione, lo ha fatto per mettere in azione il divenire che, senza la
morte, non potrebbe esistere. Anzi, l’esistenza stessa si basa su questa
discontinuità: è essa stessa discontinuità dal nulla o dall’essere assoluti,
che sono la stessa cosa.
L’emergere dell’esistenza
comporta l’emergere dell’inizio e della fine.
Dunque, meditate sulla morte.
Assumetevene la responsabilità. Siate voi che decidete, non un dio vero o immaginario
di cui sareste solo schiavi.
Siate coraggiosi. Siete voi che
volete la morte.
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