giovedì 17 agosto 2023

La chiara luce

 

“Penso, dunque sono” diceva Cartesio. Ma che cosa sono, dato che, per pensare, devo produrre un concetto o evidenziare una sensazione, una consapevolezza? Sono appunto un concetto, una sensazione, un atto di consapevolezza. Comunque, un prodotto della mente, non quello che sono veramente. Qualcosa di interpretato, di specchiato, di manipolato, un’immagine, un’apparenza, un oggetto. Ma chissà quale sia il soggetto?

Per sapere chi sono veramente, dovrei esserlo, non pensarlo. Dovrei far tacere la mente e apprendermi direttamente, senza mediazioni.

E come si fa a far tacere la mente? La mente tace solo quando è morta, ossia quando è morto il cervello. Dovrò dunque aspettare la morte per saperlo, per esserlo. Ma a quel punto il corpo non ci sarà più.

I fenomeni, così come vengono esperiti, sono condizionati dalle nostre modalità di percezione e di concetto. Ma di per sé non esistono o chissà cosa sono. Per esempio, il rosso di una rosa non è una proprietà della rosa, ma una proprietà che aggiungiamo noi con gli occhi e la mente. Anche il nostro io non esiste di per sé, ma è un nostro concetto. Ma chissà come sono io, se pur sono.

Tutte queste sensazioni o concetti sono vuoti di un’esistenza inerente, oggettiva, proprio come sogni. Esistono in quanto illusioni, ma niente di più.

In realtà, noi non siamo dentro questi sogni, ma dovremmo essere i sognatori. E, se siamo i sognatori, dovremmo a un certo punto svegliarci.

Perciò, durante la giornata, rendiamoci conto di star sognando. Dovremmo saper dissolvere la dicotomia soggetto-oggetto.

E, se non sappiamo farlo ora, dovremo farlo quando moriremo. Ma che cosa rimarrà?  

Quando saranno venuti meno la parola, la memoria, la coscienza, il cervello, il corpo, la storia personale, l’io e la psiche stessa… non ci dissolveremo nel nulla?

No, perché rimarrà quella consapevolezza primaria che è pur sempre presente e che, in teoria, è accessibile fin da adesso… se sappiamo rimanere in silenzio.

Ciò che apparirà allora sarà la chiara luce della morte, almeno secondo gli insegnamenti tibetani.

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