Abbiamo detto che la parola
“vacanza” viene dal latino vacare,
che significa essere libero di, mancare di, essere vuoto, avere tempo a
disposizione, mancare, ecc, tutti termini che derivano da vaccuum. Quindi, andare in vacanza significa svuotarsi di tutte le
incombenze abituali, di tutte le responsabilità comuni, di tutte le abitudini,
di tutti i soliti condizionamenti, di tutti i comportamenti coercitivi e
ripetivivi.
Noi, poi, noi abbiamo travisato
e abbiamo stabilito che dobbiamo fare
qualcosa di divertente, come andare a ballare o viaggiare. Ma questo è
divertimento, non vacanza.
La vera vacanza è invece
svuotarsi. E non ha bisogno di luoghi di vacanza: può essere fatta anche dove
ci troviamo.
In realtà non dobbiamo “fare”
proprio nulla: è un non-fare. Se me ne sto sotto l’ombrellone a guardare i passanti
o se vado in montagna a contemplare il paesaggio, questa è già più vacanza, nel
senso che non faccio nulla ma guardo solo, dimentico di tutto, dei soliti
pensieri e perfino di me stesso.
Chi guarda? Nessuno. C’è un
guardare senza un io.
In tal senso, la vacanza è più
simile a una contemplazione che a un fare qualcosa. Guardo, non faccio.
Come capite, siamo nel campo
della meditazione. E non è singolare che tutti abbiano questa esigenza. Meditare
nel senso di svuotarsi è una necessità di tutti, come il dormire, qualcosa di
naturale e spontaneo per ritrovare il senso di essere (senza io), la propria
energia di base.
Andiamo dunque tutti in vacanza,
anche senza muoverci, ritrovando noi stessi, ossia il Sé che di solito è perduto
nei ruoli e nelle esigenze della vita pratica. Svestiamoci dei ruoli abituali.
Rimaniamo nudi.
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