venerdì 16 giugno 2023

Il miraggio della felicità

 

Quando moriamo, non c’è né paradiso né inferno. L’io e la coscienza di esistere si dissolvono e  passano da essere personali e limitati a essere universali e illimitati.

Lo dico perché, se potessero esistere paradiso e inferno, dovrebbe conservarsi una parvenza di io e quindi del dualismo sofferenza/gioia, piacere/dispiacere, tempo e spazio. Il che potrebbe anche essere possibile, ma sarebbe ancora temporaneo, un livello da superare.

Noi invece ci riferiamo a persone che hanno capito e che sono ormai all’ultimo livello, quello che non ha più bisogno di esperienze.

La morte è allora come disperdere l’acqua di un bicchiere nel mare. Perde la sua forma, è vero, ma quella forma era solo un limite temporaneo e del tutto artificiale: l’acqua non ha forma.

Il contenimento temporaneo nell’io e in un corpo è dovuto a un’illusione: il miraggio della felicità, la speranza di poter essere felici per sempre. Ma, se c’è talvolta felicità, ci deve essere anche il suo contrario: l’infelicità, la sofferenza. Noi ci dimentichiamo di questa legge.

Ma chiedete in giro: chi è veramente e stabilmente felice? Chi, se non lo scemo del villaggio senza consapevolezza? Perché non c’è via d’uscita: la coscienza di essere è quasi sempre infelice.

Dunque, gli uomini sono degli illusi, sempre alla ricerca di qualcosa e sempre delusi.

Certo, si può scegliere un atteggiamento coraggioso e stoico. Ma anche questo atteggiamento non nasconde la disfatta dell’essere vivente.

Nessun commento:

Posta un commento