Abbiamo creato tanti concetti e
tante parole, al punto che, se un fenomeno non ha la sua etichetta, non lo riconosciamo:
è come se non esistesse. Ma questo riguarda solo la nostra realtà convenzionale.
Quando ci occupiamo di trascendenza, i concetti e le parole non servono più a
nulla: rivelano i loro limiti.
In altri termini, la nostra mente,
abituata a definire e a circoscrivere, si trova impotente, piena di contraddizioni
e paradossi. Questo vale per le religioni e per la spiritualità… ma anche per
la scienza quando cerca di descrivere lo spazio-tempo, l’unità del tutto, il
mondo delle particelle o l’origine dell’universo.
Quando per esempio si parla di
Big Bang e a quel c’era prima, ci riferiamo ancora alle antiche mitologie.
Le nostre teologie sono giochi
per bambini. Come fare a descrivere un’eventuale Dio, l’anima, la realtà ultima?
Ci limitiamo a balbettare, a usare metafore e concetti inadeguati.
Perfino quando definiamo il
nostro io, ci riferiamo a un concetto. Ma la nostra esperienza di quell’io è
tutta un’altra cosa.
Come fare a definire ciò che
c’era prima della coscienza? Il fatto che non c’era coscienza, non vuol dire
che non esistesse: ma come parlarne?
È proprio il parlare (cioè il
pensare) il problema.
Allora che cosa rimane? Il
silenzio.
Qui però dobbiamo intenderci.
Conoscere non dev’essere un acquisire, un conquistare, un violentare, ma un
osservare intimamente, da vicino: un meditare.
Ma, soprattutto, poiché le cose
nascono dal vuoto, il silenzio è il miglior metodo per acquisire energie.
Ricordiamocene adesso che
andiamo in vacanza per ritrovare le nostre energie. Non per nulla, la parola vacanza
significa proprio vuoto.
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