L’interiorità
è la nostra realtà più autentica, la nostra essenza, inesprimibile. Non
possiamo comunicare ciò che proviamo. Le parole, i simboli e le
informazioni sono come boe di superficie che indicano che in profondità c’è
qualcosa. Ma solo noi possiamo sapere ciò che cosa c’è là sotto, che cosa
proviamo. Felicità, amore, angoscia, sofferenza… sono parole che sono come dita
che indicano la luna. Ma non sono la luna.
Potremmo
scrivere libri, ma non riusciremmo mai a esprimere che cosa proviamo quando
diciamo “ti amo”, “ti odio”, “sono felice”. sono infelice”, ecc. oppure quando
ascoltiamo una musica o contempliamo un tramonto. La nostra esperienza intima,
profonda, resta incomunicabile – talvolta anche a noi stessi. “Per quanto tu
possa camminare” ha detto Eraclito, “non potresti mai trovare i confini
dell’anima, così profondo è il suo logos”.
Nessun
linguaggio, nessuna macchina, potrà sapere o replicare ciò che io sento. Solo
l’anima può conoscere l’anima.
E tuttavia
anche l’esperienza interiore può essere immagine, illusione, fantasia, delirio
e inganno, e può nascondere tante cose. Come sapere che cosa è reale?
Con la
percezione diretta e con l’impiego del confronto con la nostra esperienza e con
quella altrui: non c’è altro modo. Se fossi solo al mondo, non potrei sapere se
ciò che provo sia reale o un sogno, un’immagine, un’idea, una fantasia,
un’illazione, un miraggio. Ciò che è decisivo è il confronto.
Ma il
confronto implica che in me ci sia qualcosa che mi controlla (la coscienza) e
che ci sia una pluralità di individui ed opinioni. Implica in sostanza la dualità
interiore ed esteriore. Bisogna essere almeno in due, anzi in quattro: me e
me stesso, me e l’altro. Solo così si può accertare che cosa sia reale.
Questo
vale anche per le antinomie, che, pur partendo da percezioni dirette di singoli
eventi, diventano concetti generali (dunque astratti). In altri termini, io ho
esperienza dei miei dolori e dei miei piaceri, e solo in un secondo momento
posso parlare del “dolore/piacere”. Ma chi potrebbe dissentire da queste
generalizzazioni-astrazioni? Chi potrebbe negare che anche gli altri provano –
per estensione - dolore/piacere?
Si dice
tradizionalmente che un ente esista concretamente, se esiste indipendentemente
dalla mente. Ma questo è sbagliato perché la mente - l’osservatore, il soggetto
– è fattore costitutivo della realtà. Infatti tutte le nostre dicotomie
complementari, che sono costrutti mentali, sono un riflesso di una realtà che è
dinamicamente, dialetticamente, fondamentalmente duale. In altre parole, le
forze esistono sempre in coppie che, come ci dice la fisica, sono uguali ma
contrarie. Pensate alla coppia maschio/femmina (simboleggiata dalla coppia
yang/yin del taoismo), alla coppia inspirazione/espirazione o alla coppia
particella/antiparticella.
Sono
certamente coppie che hanno una corrispondenza nella realtà e, senza le quali,
non ci sarebbe il mondo. Quindi la nostra mente non si inventa nulla, in questi
casi, che non sia reale. Se però prendiamo un sogno o un simbolo matematico,
questi non esistono nella realtà: sono nostri costrutti. E noi li distinguiamo
da quelli reali perché facciamo un confronto. Questo confronto, nel caso del
sogno, non dipende da una mancanza di percezione, ma dal confronto con le
percezioni dello stato di veglia, mentre, nel caso del numero, dipende dalla
constatazione che i numeri non esistono in natura e dunque dalla mancanza di
percezione.
Ma la
mente ha avuto e ha un ruolo fondamentale nella costruzione della realtà così
come ci appare, perché succede come nella meccanica quantistica in cui è
l’osservatore che fa “collassare” o essere uno dei due stati. Qui avviene il
contrario: la mente fa collassare le coppie dinamiche e complementari da un campo
di possibilità degli eventi.
Come lo
possiamo dimostrare? Dall’esistenza concreta di coppie di polarità, uguali e
contrarie, che definiscono e fanno essere gli enti e le forze a due a
due. Se non ci fosse la mente, il mondo sarebbe cosa morta e immobile. Se non
ci fosse il respiro (con la coppia espirazione/inspirazione) gli enti sarebbero
senza movimento e vita. Se non ci fosse la coppia maschio/femmina, non ci
sarebbe la generazione. Se tutto non fosse in movimento dialettico, non ci
sarebbero le forze (umane e non umane) e le emozioni (dal latino emovere). Se non ci fosse la mente, non
ci sarebbero i sentimenti, gli impulsi e i pensieri contraddittori. Se gli enti
non respirassero, non ci sarebbe né il metabolismo degli organismi viventi né
l’energia dei sistemi fisici e psichici.
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Ogni
volta che la mente scopre una coppia complementare, in realtà la fa essere.
Perché prima c’era un’unità indeterminata, confusa, che aspettava di essere
divisa e contrapposta. L’universo trae origine da una fluttuazione del vuoto
Per esempio, in meccanica quantistica, le fluttuazioni
quantistiche sono continui mutamenti temporanei nello stato di
energia dello spazio vuoto, in accordo con il principio di
indeterminazione di Heisenberg. Queste fluttuazioni consentono la
creazione di coppie virtuali particella-antiparticella. Dunque,
piccole quantità di energia sono
sufficienti a formare coppie di particella/antiparticella – qualcosa che si
divide in due polarità.
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Per esempio, una coppia elettrone-positrone
può emergere temporaneamente dal vuoto.
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Le fluttuazioni quantistiche hanno giocato un ruolo
importante nel determinare la struttura dell’universo primordiale dopo il Big
Bang. Amplificate
dall’espansione nel modello dell’inflazione cosmica,
queste fluttuazioni hanno formato il nucleo originario di tutte le strutture
attualmente osservabili.
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Il mondo ha dunque sempre una struttura duale antinomica, e la
mente umana non fa eccezione. Anzi, come si nota, è dominata da oscillazioni
continue e cicliche di pensieri, sentimenti ed emozioni.
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Perfino le strutture del corpo umano sono duali: due occhi, due
braccia, due gambe… due cervelli! E la coscienza prende le mosse da questo
dualismo. È come se dentro di noi ci fossero due persone che si contrastano, si
completano e si controllano a vicenda.
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Fra parentesi, anche il karma degli avvenimenti opera secondo
questo ritmo antinomico.
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Concordia discors
e discordia concordans = concordia discordante e discordia
concordante (o armoniosa).
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Questa è la legge dell’universo con cui sono fatte tutte le
cose, da quelle fisiche a quelle mentali.
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A questo proposito, ricordiamo che la dicotomia
interiore/esteriore rivela che l’una è la controparte dell’altra, come la parte
interna e la parte esterna di un guanto o di un vaso. Potrebbe esistere l’una
senza l’altra? Potrebbe esistere un mondo esteriore senza un mondo esteriore, e
viceversa? Sono contrastanti ma concordano armoniosamente a formare il tutto.
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Dal che si deduce che l’universo deve avere una parte esterna
e una parte interna, perché l’una permette e contrasta l’altra. E si deduce
anche che il pieno e il vuoto si generano a vicenda. Come volevasi dimostrare.
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