domenica 18 febbraio 2024

La relatività del bene

 

Nel nostro irresponsabile ottimismo, che è in realtà una tendenza a non vedere le cose così come sono, riteniamo che, nelle varie antinomie, ce ne sia una positiva e l’altra negativa, una buona e l’altra cattiva. Ma agli occhi della natura non è così. Se ci sono, vuol dire che sono positive entrambe, in quanto due aspetti di un unico ciclo. Per esempio, siamo abituati a vedere l’amore come il massimo del bene e l’odio (o l’ ”inimicizia”, come già pensava Empedocle di Agrigento) il massimo del male… il tutto confermato dalle religioni che ci invitano ad “amare il prossimo” e (spero) anche noi stessi.

Ma guardiamo le cose dal punto di vista della natura (o di Dio). Non c’è né bene né male, ma un’utilità, una necessità.

Rendiamoci conto innanzitutto che amore e odio sono in realtà sinonimi di attrazione e repulsione. Quando le cose si attraggono è amore, quando si repellono è odio. Quando si avvicinano è amore, quando si allontanano è odio. Quando si uniscono è amore, quando si dividono è odio.

Ma le due polarità sono indispensabili a mandare avanti un ciclo, che prevede la costruzione e la distruzione, la vita e la morte, l’essere e il non-essere.

Però, stiamo attenti ai paradossi. La creazione, cioè la moltiplicazione, è basata su una divisione, su una separazione; se no, le cose resterebbero tutte attaccate nell’uno (lo Sfero di Empedocle). Immobili, non attive. E quindi, se guardiamo bene, la creazione vede un prevalere dell’odio-repulsione. Allora, la creazione è qualcosa di positivo o negativo?

Noi risponderemmo che la creazione è qualcosa di positivo, se no non ci sarebbe niente. Ma, guarda caso, è basata sulla divisione.

Questo ci dice che bene e male, amore e odio, attrazione e repulsione, sono giudizi di valore che hanno un valore relativo e temporaneo, oscillatorio, antropomorfo, che l’uno può trasformarsi nell’altro e che sono due aspetti della stessa realtà, entrambi “positivi”, se amiamo la vita.

Ma la verità è che trascendono le nostre categorie. I movimenti oscillatori, che formano un ciclo, non sono né buoni né cattivi. Potreste dire che l’inspirazione è più buona dell’espirazione? Non avrebbe senso, perché entrambe sono necessarie per formare un ciclo, un movimento, un sistema. Nessuno direbbe che l’elettrone, con carica negativa, è più cattivo del protone, con carica positiva. Non sono né buoni né cattivi. Sono quel che sono. Servono entrambi a formare un atomo.

In realtà, ci dice l’IA di Gemini, “l'elettrone e il protone sono particelle fondamentali che costituiscono l’atomo. L'elettrone ha una carica negativa e orbita attorno al nucleo, che contiene i protoni, che hanno carica positiva. L'interazione tra elettroni e protoni crea un campo elettromagnetico che tiene insieme l'atomo. Insieme ai neutroni, che sono particelle neutre presenti nel nucleo, gli elettroni e i protoni formano gli elementi chimici e determinano le loro proprietà chimiche e fisiche. Inoltre, l'interazione tra elettroni e protoni è responsabile per i fenomeni elettrici e magnetici che osserviamo nella vita quotidiana.”

Nessuno direbbe che il caldo è più buono del freddo. Dipende dalle circostanze.

Così la vita e la morte: non potete dire che l’una sia positiva e l’altra negativa. Per la natura (o agli occhi di un Dio ipotetico, assoluto) sono entrambe necessarie e quindi “buone”. E lo stesso per tutte le antinomie. 

I nostri giudizi morali non trovano riscontro nella natura e perciò rimarranno per sempre convenzionali, puramente antropomorfi. Ma le loro oscillazioni sono uguali a tutte le altre: si contraddicono pur sostenendosi a vicenda. Non servono dunque a stabilire che cosa sia vero e che cosa sia falso. Invece, per le antinomie che hanno riscontro nella realtà (come piacere/dolore, luce/buio, vita/morte, amore/odio, caldo/freddo, ecc. ) e che corrispondono a percezioni reali (per quanto soggettive) si può dire che abbiano un maggior grado di realtà o consistenza.

Alle antinomie o dicotomie non si possono applicare giudizi di bene e di male… nemmeno all’antinomia bene/male! Quanto alle antinomie vero/falso, reale/irreale o soggettivo/negativo, è chiaro che siamo in un campo ampiamente antropomorfo ma con un maggior grado di efficacia.

Che cosa significa? Che niente può essere definito reale, in quanto non esiste niente di completamente oggettivo. Ogni cosa è più o meno assoluta/relativa, reale/falsa, soggettiva/oggettiva, poiché non può esistere un modello di riferimento assoluto. Quindi il grado di realtà si riferisce al suo contrario. Un sogno o un’immagine hanno un grado di realtà inferiore alla cosiddetta realtà da svegli. Ma anche la realtà da svegli ha un grado di realtà inferiore a un’ipotetica realtà assoluta. Come faccio a dirlo se non conosco nessuna realtà assoluta? Perché ho un’idea di realtà relativa. E da dove viene questa idea se non dal suo contrario? O, per meglio dire, la dicotomia relativo/assoluto rivela che ci sono due aspetti di un’unica realtà che ha vari livelli, oscillante.

In altri termini, come non posso dire che una delle due polarità sia positiva o negativa in maniera assoluta, non posso nemmeno dire che una delle due polarità sia vera o falsa, ma solo più o meno vera o falsa. Allora, come devo regolarmi?

La percezione diretta di uno dei due poli è fondamentale per poter dire che è reale e che esiste il suo contrario, e anche per potere entro certi limiti modificare entrambi.  Prendiamo il caso della respirazione, costituita da due movimenti complementari e contrapposti. Se io percepisco uno dei due moti oscillatori, so che esiste l’altro, e so che posso entro certi limiti variarli: allungo o accorcio uno dei due, o sospendo il respiro. Entro certi limiti posso intervenire.

Lo stesso per tante altre dicotomie: per il caldo e per il freddo, per la luce e il buio, per il positivo e il negativo, per il piacere e il dolore, per il sì e per il no, per il dentro e per il fuori, per l’alto e il basso, per l’aperto e per il chiuso, per la destra e la sinistra, per il su e il giù, per l’ordine e per il caos, per la ricchezza e per la povertà, per la magrezza o per la grassezza, per la conoscenza e per l’ignoranza, per la salute e per la malattia, per il veloce e per il lento, per la libertà e per la schiavitù, per l’allegria e per la tristezza, per il giusto e lo sbagliato, per la giustizia e per l’ingiustizia, per il falso e il vero, per il grande e per il piccolo, per il gentile e per il rude, per il forte e il debole, per la crescita e per la decrescita, per il vicino e per il lontano, per questo e per quello, per la vittoria e per la sconfitta, per il prima o per il dopo, per la vita e per la morte, il bene e il male, ecc. : se percepisco l’uno, so che esiste l’altro, e so che posso variare entrambi entro certi limiti e a determinate condizioni con appositi accorgimenti o interventi. Posso insomma fare qualcosa per cambiare la proporzione fra i due poli – che variano comunque anche da soli.

Ma ci sono altre dicotomie su cui non posso intervenire. La vita e la morte è un esempio di dicotomia di confine, su cui posso o non posso intervenire. Posso intervenire sulla vita/morte di qualcuno ed entro certi limiti anche sulla la mia, ma non posso intervenire per accorciare o per allungare a lungo andare e oltre certi limiti una delle due.

Poi ci sono antinomie (soprattutto di emozioni, di sentimenti, di avvenimenti, di tempi…) su cui posso fare ben poco o nulla. Se una cosa è già accaduta non posso non farla accadere, se una cosa sta nel passato non posso spostarla nel futuro, se amo o odio non posso farci nulla, se sono giovane o vecchio, che posso farci?

Comunque tutte queste antinomie sono basate su percezioni e quindi per noi hanno un alto grado di realtà. Tuttavia, un sogno io lo percepisco, però non dico che è reale. Una speranza io la percepisco, però non dico che è reale. Un progetto io lo immagino, però non dico che è reale. Queste cose le riconosco irreali o ipotetiche, ma non reali. Forse realizzabili, chissà mai…

Quel che voglio dire è che il confronto con la realtà e con le percezioni è fondamentale. E questo confronto è indispensabili per stabilire se l’antinomia sia reale o astratta.

Certe dicotomie sono già astratte perché non oggettive. Per esempio l’antinomia bene/male è concreta perché è percepita, ma astratta perché è un giudizio di valore troppo soggettivo o generico. Giudico che una cosa, una persona o un evento siano buoni o cattivi già sapendo che bene e male siano concetti astratti, relativi, soggettivi e talvolta convenzionali. Quindi non posso dire che siano reali. Dipende dai punti di vista e dalla cultura.

Per esempio, l’amore, considerato da tutti un bene, distrugge due individui per farne uno; e l’odio, che separa, divide e allontana, ha una potenza creativa opposta: da uno ne fa due. Chi è buono e chi è cattivo? Nessuno dei due in maniera assoluta e statica: entrambi sono pronti a trasformarsi nei loro opposti complementari. Perché la realtà è dinamica, sempre mutevole e ambivalente.

Per definire una polarità reale (e quindi ritenere reale anche il suo contrario), dobbiamo sempre confrontarla con le nostre percezioni e perciò con le nostre sensazioni (renderci conto della percezione, ovvero essere coscienti che stiamo percependo). Se non c’è un riscontro nella nostra interiorità, allora siamo solo nel campo delle astrazioni, delle supposizioni, delle ipotesi, delle teorie, dei sogni o delle immaginazioni.

Il punto di riferimento dell’uomo, ciò che dà un significato reale alle cose, è la nostra interiorità, che è come una cassaforte segreta e incomunicabile. Nessun simbolo, nessuna macchina, potrà mai provare ed esprimere ciò che noi sentiamo. Il linguaggio, con i suoi simboli, non è in grado di cogliere la realtà della nostra interiorità. Sì, posso dire “ti amo”, “ti odio”, “sono infelice”, “sono felice”… ma la realtà di ciò che provo è incomunicabile con le parole che sono semplici indicazioni schematiche. Anche se dico “questo è bello”, questo è brutto”. “questo è bene”, “questo è male”… è come se mettessi una boa per indicare che in profondità c’è qualcosa; ma solo io posso sapere cosa c’è sotto. Il dito che indica la luna non è la luna.

Non posso esprimere ciò che provo quando, per esempio, ascolto una musica o contemplo un tramonto. Nessuna parola potrà mai farlo, neanche se scrivessi un libro o parlassi per ore. Come comunicare a un cieco che cos’è un colore?

Perciò i simboli, le parole e le informazioni esprimono qualcosa di reale solo quando sono convalidati dalla nostra esperienza. Ma sono semplici boe di superficie che si riferiscono e ci riferiscono che lì sotto c’è ben altro, la realtà.

Ma anche la nostra interiorità si sviluppa per contrasti, divisioni, distinzioni e ambivalenze,  testimoniate dal linguaggio delle antinomie. L’universo interiore è il riflesso o la controparte di quello esteriore. Dunque, quando la nostra interiorità è convalidata dall’universo esteriore, o viceversa, possiamo dire che è vera o reale.

Siamo noi, in quanto soggetti, che convalidiamo ciò che è vero o ciò che non lo è. Non c’è nessun’altra autorità.

 

 

 

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