Se prendiamo dall’idea che l’uomo sia una diade, cioè un essere che porta in sé due principi in tensione, allora l’elemento “oscillante” che lo contraddistingue potrebbe essere:
Corpo e Anima / Materia e Spirito → L’uomo oscilla tra la concretezza del suo corpo, soggetto a bisogni e limiti, e l’anelito verso ciò che lo trascende, l’intelletto, la coscienza, la spiritualità.
Ragione e Passione → La sua natura è segnata dal continuo passaggio tra istanze razionali e impulsi emotivi.
Finito e Infinito → L’uomo sa di essere limitato e mortale, eppure tende sempre oltre, verso il senso, il progetto, l’eterno.
Libertà e Necessità → È libero nelle scelte, ma mai completamente svincolato dalle condizioni materiali, storiche e biologiche.
In questo senso, ciò che lo contraddistingue è il fatto di essere un ponte instabile tra due opposti.
Se l’uomo è una diade, il suo elemento oscillante non è una terza parte che si aggiunge, ma il movimento interiore che lo definisce: il fatto che egli non è mai “uno” in modo pieno e compiuto, ma un essere sempre in tensione.
Per l’esistenzialismo, questo si traduce in alcune polarità fondamentali:
Finitudine ↔ Trascendenza
L’uomo sa di essere finito (nasce, muore, soffre), ma al tempo stesso ha coscienza, progetto, immaginazione: può pensarsi al di là di ciò che è dato. L’oscillazione è questa continua fuga verso il possibile, che però non può mai annullare la sua radice finita.
Essere ↔ Possibilità
Kierkegaard descrive l’uomo come “sintesi di finito e infinito, di temporale ed eterno”, e il suo tratto distintivo è l’angoscia: quell’emozione che nasce dal sentirsi sospesi tra ciò che si è e ciò che si può diventare. L’oscillazione è dunque l’apertura al possibile, che non si lascia mai saturare.
Autenticità ↔ Inautenticità
In Heidegger, l’uomo (il Dasein) oscilla tra il vivere immerso nel “si dice, si fa, si pensa” della quotidianità anonima, e il richiamo all’autenticità, che nasce dal confronto col proprio essere-per-la-morte. L’oscillazione diventa il dramma della scelta: seguire la massa o assumere se stesso fino in fondo.
Libertà ↔ Necessità
Sartre parla dell’uomo come “condannato a essere libero”: egli non può sottrarsi alla libertà di scelta, ma questa libertà è sempre situata, cioè condizionata da circostanze materiali e storiche. L’oscillazione è quindi tra il sentirsi libero e il sentirsi gettato in un mondo che non ha scelto.
In questa prospettiva, l’elemento oscillante che contraddistingue l’uomo non è altro che la sua esistenza stessa, intesa come dinamica tensione tra poli opposti. Non un equilibrio statico, ma un continuo “stare-in-mezzo”, che produce angoscia, ma anche apertura al senso e possibilità di autentici
Dire che l’uomo è una diade significa riconoscere che la sua natura non è semplice, unitaria, ma intrinsecamente duale. L’essere umano non “possiede” una contraddizione, egli è la contraddizione. Non vive in un equilibrio pacificato, ma in un movimento oscillante che lo attraversa e lo costituisce.
Questa oscillazione non è una malattia o un difetto, ma ciò che rende l’uomo precisamente ciò che è: un essere che non coincide mai interamente con se stesso. La sua identità non è una sostanza statica, ma un processo, un continuo passaggio tra poli opposti che non si annullano mai a vicenda.
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Le polarità fondamentali dell’esistenza sono :
1. Finitezza e trascendenza
L’uomo sa di essere mortale, gettato nel tempo, determinato da condizioni biologiche e storiche. Ma al tempo stesso non si riduce a questo: il pensiero, l’immaginazione, il desiderio lo spingono oltre ciò che è dato. Egli vive dunque sospeso: radicato nel finito, ma con lo sguardo rivolto all’infinito.
2. Essere e possibilità
Kierkegaard descrive l’uomo come una “sintesi di finito e infinito, di temporale ed eterno”. Questo fa sì che la sua esistenza sia sempre aperta al possibile. Ma il possibile non è mai neutro: spalanca libertà e angoscia. L’angoscia è infatti il sentimento dell’oscillazione: il percepire che avrei potuto, potrei, potrei non essere ciò che sono.
3. Autenticità e inautenticità
In Heidegger, l’esistenza si consuma nel “si”, nell’anonimato quotidiano (“si fa, si dice, si pensa”). Ma l’uomo non è mai del tutto chiuso in questa inautenticità: la chiamata della coscienza, e soprattutto la consapevolezza della morte, lo strappano e lo costringono a confrontarsi con la possibilità di vivere autenticamente. L’oscillazione è dunque tra il perdersi e il ritrovarsi, tra il lasciarsi assorbire e l’assumere se stesso.
4. Libertà e necessità
Sartre insiste sulla condizione paradossale dell’uomo: libero in maniera assoluta nel dover scegliere, ma mai in un vuoto, sempre situato in circostanze che non ha scelto. L’oscillazione è quella tra l’affermare la propria libertà e il riconoscere il peso delle condizioni che la delimitano.
Da queste prospettive emerge un punto chiave: l’uomo non è l’una o l’altra delle polarità, ma il movimento tra di esse. Non può mai risolversi definitivamente né nel finito né nell’infinito, né nel dato né nel possibile, né nella libertà pura né nella pura necessità. È condannato a oscillare, e questa condanna è al tempo stesso la sua grandezza.
L’oscillazione produce angoscia, perché non consente un appoggio definitivo. Ma genera anche apertura, perché mantiene vivo lo spazio della possibilità e della scelta. In questo senso, l’uomo non è un equilibrio da trovare, ma una tensione da abitare.
Antropologicamente parlando, ciò che contraddistingue l’uomo è quindi il suo essere un essere oscillante. Non esiste un punto fermo che lo definisca in maniera definitiva: egli è sempre tra, sempre sospeso, sempre oltre se stesso.
L’elemento oscillante è la diade stessa in movimento: l’esistenza.
L’uomo è l’oscillazione incarnata: un essere che, nel dramma della tensione, trova la sua libertà e la sua possibilità di autenticità.
Nella vita di ogni giorno l' oscillazione avviene nelle scelte tra sicurezza e possibilità
Ogni decisione importante (scegliere un lavoro, cambiare città, iniziare o interrompere un percorso di studi) espone l’uomo all’oscillazione tra finitezza e possibilità.
Da un lato, c’è il bisogno di sicurezza: restare nel noto, nel prevedibile, nell’appoggio concreto.
Dall’altro, c’è il richiamo del possibile: rischiare, aprirsi a un “non ancora” che potrebbe rivelarsi più autentico.
L’angoscia nasce proprio da questo: non possiamo sapere a priori se la scelta sarà giusta, e non scegliere equivale comunque a scegliere (rimanere dov’è).
Vi sono poi le oscillazioni tra bisogno e libertà
Nelle relazioni affettive l’uomo oscilla tra il bisogno di appartenenza e l’affermazione della propria libertà.
L’altro è sicurezza, riconoscimento, radicamento.
Ma l’altro è anche limite, vincolo, rischio di dipendenza.
Ogni relazione autentica deve quindi confrontarsi con questa tensione: come stare insieme senza annullarsi, come restare liberi senza isolarsi. È una danza continua, un equilibrio mai stabile, un' altalena.
Nel lavoro vediamo chiaramente l’oscillazione tra necessità e libertà, tra vocazione e obbligo.
Da una parte, lavoriamo per vivere: il salario, la stabilità economica, la sopravvivenza.
Dall’altra, cerchiamo un senso, una vocazione, un’attività che ci esprima.
Spesso il lavoro diventa il luogo della frustrazione perché l’uomo si trova “bloccato” sul polo della necessità. Ma è anche il luogo in cui può emergere la creatività, quando riusciamo a trasformarlo in espressione di noi stessi.
E infine c' è la morte dove l' oscillazione avviene tra rimozione e consapevolezza.
La morte è il polo estremo della finitezza, che spesso viene rimosso: ci distraiamo, viviamo “come se non ci riguardasse”.
Ma proprio la morte, ricordata, ridà peso alla vita: ci richiama all’urgenza dell’autenticità. È ciò che Heidegger chiama l’“essere-per-la-morte”: non un’ossessione, ma una consapevolezza che ci sveglia dalla distrazione quotidiana e ci rimette di fronte al nostro tempo limitato.
L’oscillazione sta tra il dimenticare e il ricordare, tra il vivere come se fossimo eterni e l’assumere la nostra finitezza come possibilità di vivere più intensamente.
Nella vita concreta, l’elemento oscillante che contraddistingue l’uomo non è mai eliminabile.
Nelle scelte, è la tensione tra il noto e l’ignoto.
Nelle relazioni, è il conflitto tra appartenenza e libertà.
Nel lavoro, è lo scontro tra necessità e vocazione.
Di fronte alla morte, è il passaggio tra rimozione e consapevolezza.
L’uomo non può smettere di oscillare. Ma può imparare ad abitare l’oscillazione: non come una condanna sterile, bensì come lo spazio stesso in cui si gioca la sua libertà, la sua autenticità e la sua possibilità di dare senso alla vita.
Immaginiamo la giornata di una persona comune mostrando come in ogni momento si manifesti questa oscillazione tra desideri opposti, emozioni divergenti, impulsi e riflessioni.
La sveglia suona troppo presto. Marta apre gli occhi e già si sente divisa: da un lato la voglia di restare al caldo sotto le coperte, dall’altro la spinta a iniziare la giornata, a non perdere tempo. Scende dal letto, ancora incerta, come se ogni passo fosse un piccolo compromesso tra inerzia e azione.
Davanti alla macchinetta del caffè l’oscillazione continua: scegliere la tazza grande o quella piccola? Bere in fretta per guadagnare minuti o concedersi il lusso di sorseggiare lentamente? Ogni gesto, anche il più semplice, porta con sé un microdubbio, un bivio nascosto.
Quando è per strada, Marta sente la città come un brusio contraddittorio: clacson che irritano e voci che rincuorano, sguardi frettolosi e sorrisi inaspettati. Dentro di lei cresce lo stesso contrasto: una parte vorrebbe isolarsi, l’altra si sente viva proprio grazie a quel caos condiviso.
Al lavoro, la tensione si fa più evidente. Da un lato la voglia di dare il massimo, di sentirsi riconosciuta, dall’altro il desiderio di fuggire da scadenze e riunioni infinite. Persino davanti a una mail da inviare, sente la doppia spinta: essere concisa o essere accurata? Dire subito la verità o smussare i toni? Ogni scelta sembra piccola, ma ognuna la costringe a muoversi su un filo.
A pranzo, l’altalena ritorna: insalata o pizza? Mangiare con i colleghi per non sembrare distante, o ritagliarsi un’ora di silenzio? Nessuna decisione è neutra, tutte hanno il peso di un equilibrio che vacilla.
La sera, tornando a casa, Marta si guarda allo specchio dell’autobus e sente quella stanchezza che è anche soddisfazione: ha resistito, ha oscillato, ha trovato a modo suo un ritmo. Tra il bisogno di pace e quello di compagnia, tra il desiderio di lasciarsi andare e quello di trattenere il controllo, la giornata l’ha condotta fino a qui.
Si sdraia nel letto con la sensazione di non aver scelto mai del tutto, eppure di aver vissuto ogni momento. L’oscillazione non è un difetto, ma la trama invisibile che tiene insieme la sua giornata.
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