Non c’è niente di più vicino
della nostra stessa coscienza, della sensazione di essere. E quindi è l’unico
strumento di indagine: da lì dobbiamo partire. Tutto il resto è inaffidabile.
Ma dobbiamo fare presto, perché
un giorno sparirà anche la coscienza di essere un io. E perciò anch’essa è
inaffidabile. E, se è inaffidabile la coscienza, quanto più inaffidabile sarà
il mondo che compare proprio in virtù della coscienza?
Questo lo sappiamo, che un giorno
moriremo e il nostro corpo, il nostro io, la sensazione di essere e la nostra
memoria finiranno nel nulla.
Il nulla è un vuoto di tutto.
Perciò non può essere pensato se non in relazione al tutto – come sempre nelle
coppie di opposti, che sono un prodotto della mente che… non capisce, o capisce
solo una cosa per volta.
Se pensiamo al nulla, dunque,
non dobbiamo pensare a un concetto, ma dobbiamo proprio non pensare, fare il
vuoto mentale.
Dopo la presenza mentale, ecco
l’assenza mentale. Ma l’assenza mentale non può effettivamente manifestarsi se
non con la morte.
La morte è dunque la grande
liberazione, perché è la scomparsa di ogni attività mentale.
Se il principio fondamentale
della presenza mentale è essere il più consapevoli possibile, da un certo punto
in poi la nostra coscienza deve essere così brava da capire che è insufficiente
e che deve lasciare il posto alla non-presenza, che detterà la parola ultima.
La consapevolezza non è un’apertura
che presto si richiuderà, ma una piccola fessura che presto si dilaterà all’infinito.
Il corpo la delimita. Ma quando
il corpo scomparirà…
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