giovedì 13 luglio 2023

La non-presenza mentale

 

Non c’è niente di più vicino della nostra stessa coscienza, della sensazione di essere. E quindi è l’unico strumento di indagine: da lì dobbiamo partire. Tutto il resto è inaffidabile.

Ma dobbiamo fare presto, perché un giorno sparirà anche la coscienza di essere un io. E perciò anch’essa è inaffidabile. E, se è inaffidabile la coscienza, quanto più inaffidabile sarà il mondo che compare proprio in virtù della coscienza?

Questo lo sappiamo, che un giorno moriremo e il nostro corpo, il nostro io, la sensazione di essere e la nostra memoria finiranno nel nulla.

Il nulla è un vuoto di tutto. Perciò non può essere pensato se non in relazione al tutto – come sempre nelle coppie di opposti, che sono un prodotto della mente che… non capisce, o capisce solo una cosa per volta.

Se pensiamo al nulla, dunque, non dobbiamo pensare a un concetto, ma dobbiamo proprio non pensare, fare il vuoto mentale.

Dopo la presenza mentale, ecco l’assenza mentale. Ma l’assenza mentale non può effettivamente manifestarsi se non con la morte.

La morte è dunque la grande liberazione, perché è la scomparsa di ogni attività mentale.

Se il principio fondamentale della presenza mentale è essere il più consapevoli possibile, da un certo punto in poi la nostra coscienza deve essere così brava da capire che è insufficiente e che deve lasciare il posto alla non-presenza, che detterà la parola ultima.

La consapevolezza non è un’apertura che presto si richiuderà, ma una piccola fessura che presto si dilaterà all’infinito.

Il corpo la delimita. Ma quando il corpo scomparirà…

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