Quando sei disperato e non sai
chi possa aiutarti, ti rivolgi a Dio, considerato “altro da te”, sperando che
esista e che ti ascolti.
Sarebbe bello che esistesse un
Dio del genere a cui potersi rivolgere come a un padre accogliente. Ma il guaio
è che o non esiste o non ascolta. Senza contare che il mondo è stato fatto con
tale violenza che è difficile che l’eventuale creatore sia proprio buono come
un padre terreno. C’è sempre qualche conto che non torna.
Insomma, a lungo andare, lasci
perdere con le preghiere e cerchi di fare da te.
Nella meditazione, allora, si
cerca il Sé, cioè si ricerca di essere se stessi, nella consapevolezza che non
lo si è e che ci si è identificati con un io che in realtà è una costruzione
mentale, falso, posticcio e troppo limitato.
Cercare il Sé è dunque cercare
se stessi, cioè la Realtà immensa. Che siamo, ma non riconosciamo. Ed è proprio in tale non riconoscimento che nascono il mondo e la nostra piccola coscienza.
Ora, questo Sé, potrebbe essere
considerato Dio, che però non è “altro da sé”, ma proprio se stessi.
Posso io pregare il Sé? Non
avrebbe senso… sarebbe come pregare il fegato o l’inconscio perché funzionino
bene o si curino.
In realtà, sono già parte di me
- sono me. E quindi, se sono malati, devo cercare la medicina per curarli. Non
pregare perché si risanino.
Questo “cercare la medicina” è
la meditazione, che non esclude alcuna funzione mentale, ma utilizza tutto ciò
che abbiamo, tutto ciò che siamo (analisi, sintesi, sensibilità, sentimento intuizione,
consapevolezza, presenza mentale, raccoglimento e alla fine il vuoto mentale)
per stringerli in un unico abbraccio.
Qui tutti i fili divisi e sparsi
si raccolgono in un unico nodo. Non a caso i termini medicina e meditare hanno la stessa origine etimologica .
Facciamo meditazione per far
entrare l’immenso - che già siamo, ma da cui ci siamo separati per restringerci in un io.
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