Parlare
di Dio come forza o energia primaria è ancora insufficiente. Ci si potrebbe
domandare da dove o da chi proviene tutta questa forza o energia. Così
ricadiamo nell’antropomorfismo e quindi nel condizionato. La verità è che
qualsiasi cosa diciamo nel nostro limitato linguaggio è manchevole. Avevano
ragione i filosofi della teologia negativa quando sostenevano che di Dio non si
può dire ciò che è, ma solo ciò che non è. Tutto il resto è un prodotto
condizionato.
Il
guaio è che i fedeli vogliono parlare di Dio e con Dio. Vogliono definirlo. Ma
come si fa a definire l’infinito? Significa limitarlo, farne un oggetto di
pensiero che rientri nelle nostre categorie.
Forse
hanno ragione certi maestri dello zen
quando rispondono, interrogati sulla natura ultima, che è il Vuoto. Ma anche qui
si usa un termine insufficiente, perché può intendersi come il Vuoto in quanto
contrapposto al Pieno.
Niente.
Meglio non dire niente, meglio non pensare niente, perché si ricasca sempre nel vizio originale
di usare categorie umane.
Ma
noi vogliamo sapere che cosa sia Dio perché vogliamo sapere che cosa sia giusto
e sbagliato. Vogliamo regole di comportamento, vogliamo un senso. E così
ricadiamo nel dualismo, nell’antropomorfismo e nel mitologico. Dio è il bene, e
il male è il Diavolo, l’Antidio. Stiamo balbettando, stiamo attribuendo alla
Trascendenza un volto umano… certamente insufficiente.
Dio
è inaccessibile al pensiero, alla ragione e al sentimento. Perciò quando vedo i
sacerdoti eseguire i loro riti o i credenti affermare che Dio vuole una certa
cosa, vengo preso da sconforto. Gli uomini credono di sapere, ma non sanno.
Se
Dio fosse solo pace e amore, e se fosse una persona, non avrebbe creato questo
mondo e interverrebbe quando gli uomini sbagliano. Cosa che non è.
Aveva
ragione il Buddha quando rispondeva con un “nobile silenzio” quando gli
venivano rivolte domande su Dio.
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