Sembra
incredibile, ma l’uomo è l’unico essere vivente che non ama stare in compagnia
di se stesso, che appena ha una difficoltà o un momento di noia, si mette a
fuggire da se stesso. Eppure a questo serve l’enorme industria del
divertimento. A fargli dimenticare chi è e a distrarlo.
Abbiamo
paura che, ritornando in compagnia di noi stessi, ci si trovi a faccia a faccia
con qualcosa di sommamente sgradevole – noi stessi, la nostra sofferenza, le
nostre paure, le nostre angosce... In questo modo ci si divide in due. ci si
aliena e non sappiamo chi siamo.
La
nostra pratica è esattamente il contrario: trovare noi stessi, tornare a casa.
E prendere coscienza del dolore che proviamo, nostro e anche dei nostri
antenati, da cui siamo tutti fuggiti. Infatti vivere è in gran parte soffrire,
se non altro perché siamo tutti destinati alla morte.
Se
gli esseri umani sono pronti a distruggere se stessi attraverso armi nucleari,
vuol dire che qualcosa in loro è profondamente malato, vuol dire che provano un
dolore che non viene neppure riconosciuto. Qual è la loro aspirazione più
profonda? Ogni desiderio è in realtà una sofferenza, e tutti siamo
insoddisfatti. Perfino questa ricerca dell’illuminazione o del paradiso rivela
che ci troviamo in una specie d’inferno, che stiamo male.
Ma
tutto questo va riconosciuto – con comprensione e compassione.
La
nostra sofferenza è la sofferenza di tutti: dobbiamo esserne consapevoli
attraverso l’ascolto profondo. Il nostro problema è che non capiamo noi stessi
e quindi neppure gli altri. E che fuggiamo non appena avvertiamo la nostra
tristezza, la nostra paura, la nostra rabbia, il nostro desiderio o il nostro
vuoto.
Perciò
non ci resta che metterci in ascolto – di noi stessi e degli altri. Non fuggire
attraverso un’azione qualsiasi. È
il primo passo per cambiare.
Mettiamoci seduti e diventiamo consapevoli di ciò che siamo, qui e ora.
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