venerdì 9 ottobre 2015

La presenza consapevole

Siamo troppo chiusi su noi stessi, troppo attaccati a noi stessi, troppo incentrati su noi stessi: la nostra vita, la nostra famiglia, la nostra patria, i nostri amori, i nostri interessi, i nostri dei, insomma il nostro ego. Il risultato è che siamo pieni di pregiudizi e viviamo in un mondo limitatissimo.
La meditazione ci insegna ad alzare la testa, ad allargare la visuale e a guardare al di là del nostro ego. Dobbiamo imparare a guardare noi stessi così come guardiamo gli altri: con distacco, con equanimità.
Vedremo allora schemi ripetitivi non solo nel comportamento ma anche nei pensieri e nell’emotività. E scopriremo che gran parte della nostra sofferenza viene proprio dall’incapacità di disidentificarci da noi stessi. Crediamo che l’intero universo giri intorno a noi.
Paradossalmente, la via d’uscita non è tentare di dimenticarci e di dedicarci a qualche causa, magari benefica. Questa è un’altra forma di alienazione, che porta sofferenza.
La soluzione è uscire dall’ego, con tutti i suoi dolori, e diventare puri osservatori. Non per girare ancora intorno al nostro ombelico, ma per diventare testimoni attenti e silenziosi di ciò che avviene, in noi e fuori di noi. Dobbiamo smettere di identificarci con i nostri schemi ripetitivi e focalizzare l’attenzione sulla presenza consapevole. Dobbiamo restare presenti e consapevoli, proprio per uscire dal soffocante cerchio chiuso dell’ego.
Restiamo presenti e vigili, distaccati da tutto, anche dal nostro ego. Recidendo l’identificazione primaria con noi stessi, e rimanendo concentrati in modo prolungato e consapevole sulla presenza primaria (che non è più egocentrica), attiveremo una potente pratica spirituale di liberazione e di trasformazione.

Chi non arriva a questo punto, rimane sempre bloccato su se stesso e continua a ripetere schemi mentali che portano solo sofferenza.

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