martedì 8 dicembre 2015

L'io dell'io

Certo la mente è uno strumento meraviglioso, la punta di diamante dell’evoluzione. Ma il problema è che noi ci identifichiamo completamente con essa e, anziché esserne padroni, ne siamo schiavi.
Chi è il soggetto? Chi è che dirige la nostra vita? Chi è che decide?
Non lo sappiamo in realtà. Rispondiamo “io”. Però, nel momento in cui agiamo, non sappiamo dove si trovi la centralina. Neppure dei nostri pensieri siamo padroni: i pensieri avvengono senza che lo abbiamo deciso. E lo stesso per le percezioni, le sensazioni e le emozioni.
Sono io che penso? Sono io che sento? Sono io che mi emoziono?
Ma dov’è questo io? Chi è? Io sono io, però non produco quasi niente di ciò che fa, pensa o sente il mio io.
Probabilmente questo io non è neppure in qualche posto dentro di me, non è veramente me, ma è un centro posto in qualche posizione intermedia.
Nessuno dirige l’io. Neppure io. L’io è ciò che agisce e reagisce all’interno di un rete, rispondendo a stimoli in parte interni e in parte esterni.
Questa è una prima conclusione di una visione profonda.
Essere non significa essere padroni di un io; è un’esposizione priva di armatura. Non siamo noi che viviamo e non siamo noi che moriamo. Tant’è vero che, quando c’è la morte, non c’è nessun io. Ma lo stesso è per la vita. Non c’è nessun io.
L’io è una nostra illusione temporanea.

Questo però non è una condanna, ma ci dà un senso di sollievo e di liberazione. Perché significa che siamo plastici e fluidi. Se avessimo un io solido e roccioso, definito una volta per tutte, non potremmo evolverci, cambiare, crescere. Non potremmo né vivere né morire.

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